Ultimo giorno di Maggio, pigramente seduto nel mio negozio, colonna sonora : Disorder dei Joy Division.
Eccomi qui, qualcuno, sicuramente un maligno, pronto a dire “in ritardo… come al solito”, ma stavolta, forse per la prima volta da quando scrivo per Taxidrivers ho una reale giustificazione in tasca per controbattere alle malelingue.
Infatti questo mese mi sono dovuto sbattere, su mandato del grande capo in persona, per risolvere alcune beghe logistiche atte a snellire i lavori di redazione.
Quali? Vi immagino chiedere, consapevole del fatto che chi ha la pazienza di seguirmi con un minimo di continuità possa avere il ragionevole dubbio che io sia una persona totalmente inaffidabile per gestire una qualunque questione tecnico/amministrativa. Chi mi conosce di persona, poi, ne ha l’assoluta e insindacabile certezza.
Questioni interne di redazione, è comunque la risposta che vi do. Quindi non menate il can per l’aia e fatevi una buona dose di cazzi vostri.
Tanto vi dovrebbe bastare per sapere che queste corvette, unite al fatto che come da tradizione a giorni inizierò il consueto giro estivo per festival e happening di cinema horror e fantastico, mi avrebbero esentato dalla consegna mensile del pezzo per la rubrica.
Allora perchè stai qua a perdere e a farci perdere tempo?
In primo luogo perchè spero che il grande capo, colpito da cotanta abnegazione, si commuova e si decida ad aprire il portafogli senza farsi venire un colpo o le convulsioni.
In secondo luogo perché, visto che passerò la stagione tra mostri, zombie e creature fantastiche, aspettando il Fantafestival e L’Italian Horror Fest di nettuno, una breve chiacchierata con Luigi Cozzi, come preludio ad un’estate da brivido, ci stava benissimo.
Una terza considerazione un poco meno nobile è legata al fatto che l’incontro con Cozzi l’ho avuto per puro caso e non approfittare di questo inaudito colpo di fortuna, facendolo magari passare per duro lavoro, sarebbe come richiedere la patente di idiota.
Facciamo quindi un piccolo salto indietro nel tempo, fino a ieri per la precisione.
Ero a Roma e caso più unico che raro, con una mezza giornata libera a mia disposizione. Chi mi conosce sa che normalmente i miei tempi sono costipati, motivo per cui faccio sempre l’equilibrista cercando di incastrare come nel gioco del Tetris i miei impegni con il lavoro, con il gruppo musicale e con la redazione. Non c’è da sorprendersi quindi che vivendo sempre sotto pressione, l’idea di come gestire un pomeriggio libero mi trovi impreparato. Tuttavia l’idea di passare il mio poco tempo buttato sul divano di casa dei miei mi sembrava un delitto. La prospettiva, poi, di passarlo ascoltando le varie contumelie di mia madre mi sembrava orribile al pari di sedersi sulla poltrona del dentista.
Era imperativo che trovassi un modo di impiegare il tempo fino all’ora in cui sarei dovuto ripartire per la mia dimora nelle desolate paludi Pontine.
Dopo aver fatto una pigra analisi mentale sulle possibilità a mia disposizione, la scelta cade su una visita a “Profondo rosso”, uno storico negozio, dal 1982 specializzato in cinema di genere che, oltre ad avere il non trascurabile vantaggio di essere relativamente vicino a casa dei miei, al suo interno, o meglio nei suoi sotterranei, ospita un museo del cinema horror nel quale si possono ammirare cimeli originali di alcuni film che hanno fatto grande il cinema di genere Italiano.
Specialmente film di Argento, essendo questi tra i “dominus” del negozio.
Era passato poi un po’ di tempo dalla mia ultima visita, e, visto che all’epoca nel museo c’era un problema di lampadine fulminate, non avevo potuto vedere molto. Stavolta i guasti tecnici sembrano superati. Luci e faretti sono tutti in funzione e illuminano quello che per ogni amante del genere horror rappresenta il paradiso in terra.
Le inferiate originali del film “La Chiesa” che nella pellicola servono ad infilzare i malcapitati fedeli rimasti in balia delle forze demoniache qui separano i vari ambienti al cui interno vengono ricostruiti i set di capolavori immortali come “Profondo rosso”, “Phenomena”, “Demoni” o la camera operatoria del più grande falso della storia : L’autopsia dell’alieno di Roswell.
Tra attrezzi di scena, locandine d’epoca e animatronics dalle fattezze mostruose, mi sembra di essere a casa. Anzi penso che il gigantesco mostro della laguna nera che campeggia all’ingresso del museo farebbe meravigliosamente coppia alla lapide con tanto di mano zombesca a grandezza naturale che tengo nel salotto buono (come se poi ne avessi anche uno cattivo…..).
Un nastro registrato con una voce fa da guida tra i vari settori, illustrando di volta in volta il contenuto di ogni diorama. Non che mi dicesse niente che già non sapessi e in effetti un posto del genere è per sua natura meta di pellegrinaggio di super appassionati del genere. Un tipo di pubblico che di norma è più che preparato e che quindi non necessita di spiegazioni da dizionario del cinema.
Però è piacevole in sottofondo il continuo alternarsi dei grandi successi dei Goblin.
Tutto sommato avevo trovato il modo più piacevole di impiegare una mezz’oretta e ancora qualche minuto ero intenzionato a perderlo volentieri curiosando nel negozio al piano superiore, alla ricerca di qualche chicca tra i libri, i film e i gadget granguignoleschi che l’esercizio propone.
Alla fine ero soddisfatto e difficilmente avrei potuto chiedere di più a quello scampolo di pomeriggio tardo primaverile, quando a destare il mio stupore ci pensa una figura indaffaratissima che gira per il locale con un arto mozzato di gommapiuma in una mano e una pila di libri nell’altra.
Stropiccio gli occhi, metto a fuoco, li apro e li richiudo più volte pensando ad un’allucinazione.
“Dev’essere qualcosa che ho mangiato” è il mio primo pensiero, prima di ricordarmi di non aver pranzato affatto.
Droghe?
Escluso! É passato veramente un bel po’ di tempo dalla mia ultima, giovanile serata psichedelica.
Allora per citare Conan Doyle: “una volta scartate tutte le ipotesi possibili, l’unica rimasta, per quanto improbabile è la soluzione”
Non ci sono cazzi da appendere, quello è proprio Luigi cozzi in carne, sudore e camicina a righe!
Metabolizzo lo stupore iniziale cincischiando tra l’oggettistica randomicamente sparpagliata nel bancone davanti a me, fingendo di mostrare tutto l’interesse dell’universo per il bulbo oculare in vetroresina che mi giravo distrattamente tra le dita.
E adesso che faccio?
Raccolgo tutto l’orgoglio professionale di cui sono capace, ben poco a dir la verità, e per farmi coraggio ripasso mentalmente tutti i pistolotti del grande capo su come un bravo giornalista deve azzannare alla giugulare ogni occasione; poi mi ricordo che queste lezioni di alto giornalismo si concludono tutte immancabilmente con un urlo rauco del tipo: “vogliamo diventare immortaliiiiiii?”, e quindi decido di accantonare per questa volta gli insegnamenti del grande capo e fare conto solo sulle mie forze.
In fondo Cozzi è tra i proprietari del negozio, nulla di strano che ogni tanto ci si affacci quindi.
Poi se te ne stai lì come se niente fosse, con un arto mozzato tra le mani, davanti ad un tardo adolescente che ha superato gli “enta” da un pezzo e soprattutto sei Lewis coates, cribbio! Dovrai anche aspettartelo che prima o poi qualcuno ti chieda un’intervista a bruciapelo!
In realtà non ho dovuto faticare molto. Magari Cozzi, come ragazzo di bottega della vecchia scuola del cinema di genere Italiano, non sarà più tanto ragazzo (classe 1947), ma continua ad essere un profondo conoscitore delle regole della bottega e sa benissimo che è sempre bene pubblicizzare la propria immagine di tanto in tanto.
Oltretutto un vecchio animale di scena come lui è rodatissimo nell’arte dell’intervista.
Sa che con l’estate inizia la stagione dei festival, quindi questo è soprattutto un periodo in cui agli addetti ai lavori si chiedono dei bilanci sullo stato della settima arte.
In più il buon Luigi ha già il paniere degli impegni per la bella stagione ben fornito: 4 inviti in Giappone, 2 a Londra e ovviamente l’immancabile festival di Nettuno, dove ci sarà anche il sottoscritto.
Quindi sospetto che vista la ciclicità delle domande, lui da buon professionista abbia già elaborato le risposte.
Con mia sorpresa però le risposte ricalcano moltissimo quelle che anche l’anno scorso avevo raccolto da molti suoi colleghi, da Stivaletti a Martino, da Lenzi a Deodato.
Tutte pervase da un profondo pessimismo sulla condizione non solo del cinema Italiano, ma di quello globale, con la sola eccezione di Lamberto Bava che un anno fa ancora faceva sfoggio di ottimismo della volontà. Chissà se nel frattempo ha cambiato idea anche lui….
I problemi secondo Cozzi sono nella fine della piccola produzione indipendente assorbita dalle grandi major che a loro volta però non godono in questa fase di buona salute. L’endemica chiusura delle sale cinematografiche autonome, poi, fa si che semmai si riesca, anche tra mille difficoltà, a produrre un buon film, poi non ci sia il modo di farlo conoscere al grande pubblico.
La pirateria online poi ha fatto il resto, devastando il settore home video che pure una volta era un buon canale di distribuzione alternativo ai cinema.
Certo le colpe non stanno tutte a monte e anche quello dell’autorialità è un problema che deve essere considerato. Quasi in un afflato di cosmico pessimismo leopardiano Cozzi lamenta il fatto che le nuove tecnologie abbiano reso relativamente accessibile la realizzazione di un film a tutti, anche e soprattutto a chi non dovrebbe mai stare dietro una macchina da presa.
Intendiamoci, non è che con questo voglia dire che non ci sono giovani di talento, alcuni sono anche tecnicamente molto preparati, ma la vera lacuna sono le idee.
Con aria un po’ paternalistica ammette “tutti i giorni mi arrivano decine di lavori di giovani, anche buone, ma manca quello che mi fulmina”.
Il che non significa che un’idea debba essere necessariamente originale in toto, ma che originale debba essere la sua rielaborazione, questo si.
E qui si lancia in due arditi paragoni, il primo riguardante Leone che prendeva i film di Kurosawa per trasformarli nei suoi geniali western. Il secondo parla di se stesso e porta ad esempio i suoi due Hercules, oggettivamente una bella rielaborazione sia dei temi della mitologia classica, sia delle riduzioni cinematografiche del peplum, da lui però pesantemente riadattati in un contesto fantascientifico con elementi ipertecnologici.
Non rinuncia con una punta di orgoglio poi a far notare che questa sua idea è stata a sua volta rielaborata nientepopodimeno che da Sam Raimi per il suo Hercules, questa volta però in serie-tv.
A questo ovviamente non fatico a crederci, visto che ormai anche il più ignorante, retrogrado, cialtrone e salottiero dei critici di regime che ha occhi solo per uno Zeffirelli di corte, dopo essersi per anni riempito la bocca (e la tasca) di battutine indegne del tipo “stai a vedere che adesso rivalutiamo anche Fulci”, è costretto ad ammettere la pesantissima influenza dei grandi maestri del cinema di genere nostrano su Hollywood.
Le serie-tv, croce e delizia dei nostri cineasti.
Una volta trampolino di lancio per i giovani, oggi fossa e pietra tombale per i grandi vecchi!
E senza fare nomi penso con molta amarezza a fiction come “La banda della uno bianca” e “La vita di padre pio” che sono lo specchio di sogni infranti e promesse non mantenute.
Chi ha orecchie per intendere intenda…… gli altri in roulotte.
Lo stesso Cozzi pur avendo fatto alcuni lavori per la televisione, ne lamenta l’estrema provincialità delle tematiche.
Ne potrebbe essere riprova il fatto che anche chi vi scrive, pur avendo una certa simpatia per i lavori di Cozzi, non lo abbia seguito nelle sue produzioni televisive. Anzi se dobbiamo essere onesti, pensavo che anche Luigi “avesse tirato i remi in barca”, per usare un’espressione di Umberto Lenzi diretta a se stesso.
Scopro quindi con un certo stupore che in gran segreto il nostro sta preparando un nuovo film che da quello che mi dice è anche in avanzato stato di lavorazione.
Più di un’ora è stata già girata, gliene manca un’altra.
Parto all’attacco, ma Cozzi non si sbottona. Ne voglio ovviamente sapere di più, ma lui mi oppone motivi di serietà professionale che gli impediscono di parlare di un lavoro finché non è finito.
Alla fine dopo molti assalti riesco a strappargli qualche notizia in più sul genere.
Un fantahorror!
Voglio saperne di più, lo prego di dirmi che genere di film sarà.
Sibillina la risposta: “aaah sarà uno di quelli che piacciono a me. Molti soldi, grandi attori, grandi effetti”
Il che non so se debba rendermi impaziente o preoccupato, ricordandomi dei “grandi effetti” di “Contamination” che sfoggiavano un mostro alieno fatto con i pezzi di una vespa riciclati.
Ma anche questa è la genialità del grande cinema del fantastico italiano che affonda le sue radici in Mario Bava e i suoi scheletri di plastica mossi da corde, nani e lenze da pesca e noi lo amiamo così com’è.
Anzi, lo amiamo proprio perché è così!
L’intervista è finita e faccio per andarmene, non prima di aver chiesto un autografo per la redazione, quando in quel momento entra a sorpresa anche la protagonista di Phenomena a cui faccio immediatamente aggiungere la sua firma a quella di Cozzi.
Niente male per quello che era iniziato come un pomeriggio a perdere.
Non posso che ripetere tra me e me le immortali perle di saggezza tratte da Bryan di Nazareth “certo che tu hai più culo che anima”.
Colonna sonora:
Finkelabarcava – Ustmamò