Towers of Midnight, tredicesimo e penultimo romanzo di La Ruota del Tempo, è del 2010. La traduzione italiana, con il titolo Le Torri di Mezzanotte, è arrivata nel 2012. A Memory of Light, quattordicesimo e ultimo romanzo, del 2013. Pubblicato in gennaio in lingua originale, è arrivato da noi con il titolo Memoria di Luce nel giugno di quello stesso anno. Dopo oltre vent’anni Brandon Sanderson aveva completato l’opera iniziata da Robert Jordan nel 1990 con The Eye of the World e giunta da noi a partire dal 1992 con L’Occhio del Mondo.
Io amo La Ruota del Tempo ora così come la amavo all’epoca, e la amo nella sua totalità, compresi una buona fetta del primo romanzo di matrice chiaramente tolkieniana e una trama che a tratti scorre con un ritmo a dir poco pacato. La Ruota del Tempo non si esaurisce in questo, e se questi elementi sono necessari – solo chi la conosce davvero riesce a vedere quanti dettagli fondamentali sono nascosti in una scena apparentemente poco significativa – allora amo anche loro. Soprattutto la amo per le azioni compiute dai suoi protagonisti e per la ricchezza di quel mondo.
Quando ancora stavamo aspettando la pubblicazione di Towers of Midnight la casa editrice americana, Tor Books, aveva realizzato un booktrailer e partendo da quello e dalla copertina, l’ultima che avrebbe realizzato per La Ruota del Tempo Darrell K. Sweet prima di morire, avevo scritto un approfondimento interrogandomi su una delle trame che a breve avremmo potuto leggere. Gli elementi disseminati nei romanzi sono ancora interessanti, anche se chi ha ultimato la lettura sa come si svolgerà la missione di salvataggio e quali saranno le sue conseguenze. Di queste non parlo, di alcune creature non umane e dello strano luogo in cui vivono parlo qui sotto in un testo che comprende spoiler fino a Presagi di tempesta compreso.
Il testo che si sente nel breve filmato è un condensato della lettera pubblicata alle pagine 321 e 322 de La lama dei sogni:
“Mio carissimo Thom
quando riceverai questa lettera, ti verrà riferito che sono morta. Un giorno, presto, tu, Mat Cauthon e un altro uomo potreste tentare di salvarmi. Se lo farete dovrete essere solo voi tre. Di più o di meno significherebbe la morte per tutti. Se tu comunque deciderai di venire per me il giovane Mat conosce la strada, ma vieni presto perché la fine è vicina e io potrei avere ancora un ruolo da giocare.
Possa la Luce tenerti al sicuro e forse presto ti vedrò di nuovo.
Moiraine”.
Alla luce di questa lettera diventa chiara anche l’immagine scelta per la copertina del romanzo. L’uomo in centro, con in mano l’ashandarei, è Mat. Alla sua destra, con in mano il bastone che gli serve per camminare dopo lo scontro con il Myrddraal ne L’Occhio del Mondo, c’è Thom. Alla sua sinistra, di spalle, l’altro uomo anziano che sta disegnando un triangolo con un pugnale non può essere che Noal Charim, presente alla lettura della lettera e pronto a dichiarare che gli piacerebbe trovare la Torre di Ghenjej e partecipare al salvataggio.
Che Noal non fosse una persona qualsiasi lo si era capito fin dal suo primo incontro con Mat, quando lo aveva salvato dal gholam ne Il cuore dell’inverno. Ne La lama dei sogni poi sono davvero tante le frasi che lasciano immaginare che lui in realtà sia Jain Farstrider, e il vero nome del leggendario viaggiatore, come ci ricorda la citazione posta in apertura di Crocevia del crepuscolo, è Jain Charin.
Quanto a Mat stesso, il suo aspetto ricorda molto da vicino quello di un sogno di lupi fatto da Perrin già ne L’ascesa dell’ombra. Nel ventottesimo capitolo, significativamente intitolato Alla torre di Ghenjei, l’ex fabbro vede il suo amico che “stava indossando un cappello dalle falde ampie e camminava impugnando un bastone con applicato in punta un pugnale”. Poco dopo questa visione Perrin arriva alla Torre, che gli si presenta come “una colonna di metallo” completamente priva di aperture. Che è più o meno quanto racconta Noal della Torre affermando che Jain Farstrider non c’è mai stato, che “permette alla gente di accedere ad altre terre”, che “brilla come acciaio lucidato” e che “non ha la minima apertura”.
Che fosse possibile entrarvi lo aveva intuito già Perrin quando, proprio davanti alla Torre, aveva perso le tracce di Isam/Luc. La prima ad attribuire un nome alla torre, sempre nel sogno, era stata Birgitte, la stessa donna che in seguito avrebbe trascorso tantissimo tempo con Olver e che gli avrebbe spiegato che per far aprire la porta bisogna “fare il segno da una parte con una lama di bronzo”.
Birgitte aveva spiegato a Perrin che la porta conduceva ai reami degli Aelfinn e degli Eelfinn, creature che non sono cattive “allo stesso modo dell’Ombra, eppure sono talmente differenti dall’umanità che potrebbero anche esserlo”.
Il loro aspetto è descritto da Mat ancora in L’ascesa dell’Ombra nelle due occasioni in cui ha modo di incontrare una delle due razze, dopo essere passato attraverso due diversi ter’angreal. La prima volta (capitolo 15: Attraverso la soglia) vede una figura simile a un essere umano, ma “troppo esile per l’altezza, con un sottile viso allungato. La pelle e i capelli neri lisci assorbivano la luce pallida come le scaglie di un serpente. E quegli occhi… le pupille nere erano tagli verticali. No, non umano”. La seconda volta (capitolo 24: Rhuidean) incontra una creatura completamente diversa, i cui “occhi erano troppo grandi e quasi incolore, profondi in un volto dalla mascella fine. I capelli corti e rossicci erano tagliati a spazzola, le orecchie, piatte contro il capo, avevano un accenno di punta” e i cui denti affilati contribuivano a dare “l’impressione di una volpe pronta a balzare su una gallina stretta in un angolo”.
«Tutti i bambini lo hanno fatto. Almeno nei Fiumi Gemelli. Ma smettono quando sono abbastanza grandi da capire che non c’è modo di vincere.»
«A meno che non violi le regole» rispose la donna. «Coraggio per rinforzare, fuoco per accecare, musica per stordire, ferro per legare.»
«Quella è una frase del gioco. Non capisco. Cosa ha a che fare con questa torre?»
«Questi sono i vari sistemi per vincere contro i serpenti e le volpi. Il gioco è una rievocazione di antiche relazioni.»”
Se il gioco rievoca qualcosa di tanto antico per gli esseri umani da essersi perso e trasformato nella nebbia del tempo fino a diventare nulla più che un gioco da bambini, per Aelfinn ed Eelfinn si tratta di memorie vive, legate a un patto ancora attuale. La guida dall’aspetto di serpente che Mat incontra oltre la soglia del ter’angreal nota che questi non ha “portato lampade, o torce, come l’accordo era, è e sempre sarà” e si preoccupa di chiedere “Non hai ferro? Nessuno strumento musicale?”. Le stesse preoccupazioni attraversano i pensieri della figura volpina e al termine del secondo incontro sappiamo che Mat viene impiccato, confermando la scarsa preoccupazione delle misteriose creature per gli esseri umani.
Moiraine spiega chiaramente che il tentativo di salvataggio potrebbe portare alla morte di qualcuno, se non di tutti i componenti del gruppo, e nella sua lettera ammonisce “Ricorda quello che sai sul gioco di serpenti e volpi. Ricorda e presta attenzione.” Ma se è vero che è impossibile vincere a serpenti e volpi senza barare, il terzetto di eroi parte fin dall’inizio con un asso nascosto nella manica.
Il salvataggio, anche nella migliore delle ipotesi, non sarà indolore. Proprio gli Aelfinn hanno fatto a Mat una serie di profezie sul suo destino: “«Sposare la Figlia delle Nove Lune!»
«Morire e vivere nuovamente, e vivere ancora una volta una parte di ciò che fu!»
«Rinunciare a metà della luce del mondo per salvarlo!»”
La maggior parte di queste frasi sono ormai diventate evidenti. La Figlia delle Nove Lune è Tuon, comparsa per la prima volta in Il cuore dell’inverno. E in La lama dei sogni (capitolo 36: Sotto una quercia) la cerimonia nuziale viene completata.
Morire e vivere nuovamente, la profezia apparentemente più difficile, si era già compiuta ne I fuochi del cielo, quando Mat era stato ucciso da Rahvin(capitolo 54: A Caemlyn) ed era poi tornato in vita il capitolo successivo grazie al fatto che Rand aveva ucciso il Reietto usando una quantità notevole di Fuoco malefico.
Vivere ancora una volta una parte di ciò che fu è legato alle memorie del passato ben vive nella mente di Mat, come se episodi avvenuti anche centinaia di anni prima fossero accaduti a lui personalmente.
E, guarda caso, uno dei capitoli di Towers of Midnight si intitola proprio An eye on the balance, Un occhio su una bilancia.
Ne Il drago Rinato Egwene, la prima Sognatrice presente nella Torre Bianca da alcuni secoli, sogna, fra le altre cose, “Mat che metteva l’occhio sinistro su una bilancia. Mat che penzolava impiccato al ramo di un albero” (capitolo 25: Domande). L’impiccagione avviene come conclusione del viaggio fra gli Eelfinn, l’occhio sarà quasi certamente messo sulla bilancia nel prossimo viaggio. Anche perché ne I fuochi del cielo (capitolo 15: Cosa si può imparare nei sogni) Egwene sogna nuovamente l’amico: “Mat che lanciava i dadi con il sangue che gli colava sul viso, le larghe falde del cappello abbassate e lei non riusciva a vedere le ferite, mentre Thom Merrilin infilava una mano nel fuoco per estrarre la piccola pietra azzurra che adesso pendeva sulla fronte di Moiraine”.
A meno che il tocco del Tenebroso sul mondo non sia già così forte da alterare la realtà, Moiraine verrà salvata. Ne La corona di spade Min sa che “senza l’aiuto di una donna che era morta da tempo, il suo fallimento [di Rand] era praticamente certo” (capitolo 35: Nella foresta). Ciò che Min non sa è che in realtà Moiraine non è morta, come pensa ancora qualche pagina dopo: “in fondo non poteva aspettarsi che Moiraine fosse tornata in vita. Era la sola visione errata che avesse avuto”.
Quasi cinque anni fa concludevo il mio viaggio nelle terre di Aelfinn ed Eelfinn immaginando che la scena, iniziata a preparare qualche migliaio di pagine prima, sarebbe stata uno dei climax di Tower of Midnight, e che restavano da solo vedere le modalità precise del salvataggio, e se i tre uomini, pur se con Matt privo di un occhio, sarebbero riusciti a tornare indietro. Ora queste risposte le conosciamo, ma vedere quanti indizi Jordan ha disseminato fra le sue pagine è una cosa che non finirà mai di affascinarmi.