“Mata mua” Akragas*

Creato il 26 agosto 2012 da Abattoir

domenica 26 agosto 2012 di Noemi Venturella

Pirandello morì nel 1936, molti anni prima di sapere che un tollo** può distruggere moralmente un tempio.
Me lo sono immaginato spesso affacciato al suo belvedere naturale (dove volle tenacemente essere seppellito) che guarda il suo bosco di Caos, quando ancora quel luogo che oggi chiamiamo Villaseta e in cui dobbiamo recarci per visitare la sua casa natale era solo un’isolata tenuta di campagna nei pressi di Girgenti.
Credo che se avesse saputo cosa divenne 30’anni dopo la sua città non avrebbe rifiutato i funerali fascisti per essere sepolto lì.

…Come chi da anni vuole conoscere Agrigento pensandola come la città dei templi (banale, ma è questo che “chi non sa” pensa di “Lei”).
E poi ecco la tristezza: quella di chi sorride immaginando di trovarsi accanto al tempio della Concordia, e si ritrova invece sul viadotto Akragas, un enorme ponte in salita da cui si entra ad Agrigento e da cui la gente si butta giù e gioca a fare i testacoda. E soprattutto da cui si scorge Agrigento. 
Dal viadotto la vedi, e a quel punto non c’è più solo traccia di emozioni tristi o deluse per quell’accoglienza di cemento; a quel punto, quando ti giri dal finestrino della macchina per vedere per la prima volta QUELLA città, c’è proprio sconvolgimento: nessun tempio, nessun centro storico visibile degno di nota, nessuna chiesa che col suo cupolone di calda arenaria sicula si erge da secoli ad accoglierti, ma molti colori in cementi diversi e sgraziati incapaci di conferire un senso alla tua visione.
Strabuzzo gli occhi, mi dico che sicuramente c’è un malinteso generato dalla mia testa, e chiedo al mio compagno di viaggio: “ma quella cos’è?”. E lui, più realista e secco: “Agrigento, non lo sapevi?”.
No. Non lo sapevo e non ci credevo.

Da lì in poi, sono state 36 ore di sconvolgimenti per l’assoluta trascuratezza di una città che immaginavo piena di storia e che ho trovato piena di traffico, di caos, di aberrazioni architettoniche prive d’amore che sotto il caldo mi sono sembrate ecomostri deturpanti gratuiti…eppure immagino che gratuiti non lo siamo mai stati davvero, se non in quanto alle offese che hanno recato al territorio.
Ma il clou è arrivato dopo, con la scoperta del centro storico della città: un centro a primo acchito introvabile, murato vivo come un vecchio ormai inutile in mezzo al cemento di progresso che lo avvolge e lo soffoca in un agosto immobile. Un centro rappresentato insieme da un belvedere collinare non curato ma potenzialmente splendido e da una cattedrale che cade a pezzi, piena di erbacce e di immondizie, circondata da palazzoni tirati su davanti alle chiese settecentesche, e a loro volta circondati da interi quartieri abusivi con distanze da metropoli dettati dalla dissennatezza del costruire a dismisura per arricchire quanti più maiali possibili.

Negli anni ’60, quando questo omicidio colposo iniziò a far sanguinare le arterie della “Terravecchia”, non si sapeva che esso avrebbe reso Agrigento l’emblema della miseria morale di un uomo che deturpa per sempre i suoi tesori bizantini, chiaramontani, normanni e barocchi e mette a repentaglio la vita dei suoi fratelli di popolo pur di speculare.
Allora, i tolli multicolor di Agrigento erano progresso e sviluppo, emblema e compendio della rinascita economica del Paese. Lì come dovunque.
Qualcuno però sapeva che i tolli multicemento di Agrigento erano anche morte, e non solo di una città, ma anche di un popolo alienato che dormiva sul tufo, preso in giro da costruttori che sapevano che quel tufo incongruo non avrebbe retto e li avrebbe lasciati senza case. E’ così è stato: tutto è franato a un certo punto. Ma l’uomo, in quanto uomo, non ha imparato, ed ha generato altri tolli.

Per questo, Agrigento oggi è un´impenetrabile cortina che nasconde e soffoca e abbandona i suoi tesori: lo si vede da dentro e da fuori. E mi fa pena, questo gigante di storia senza più storia che si estende informe sulle colline tra le colate di moderno e la cenere di un tempo che fu.
Mi fa pena se penso alla magia medievale perfettamente preservata di Toledo, ai palazzi bassi e curati di Bratislava, alla chiesa di San Lorenzo a Torino, priva di facciata perché essa avrebbe spezzato la simmetria di tutta Piazza Castello.

Oggi si parla di ritornare ad “Agrigento città dei templi” decostruendo i palazzoni, tornando ad un piano regolatore umano, mai approvato dai troppi interessi in gioco. Si parla di ri-creare un impianto urbanistico regolare attento alla tutela delle porzioni del territorio.
Si parla.
Ma qui, fino ad ora, le cose sono successe, sono accadute e poi tutti ci siamo adattati.
Ci siamo adattati al profilo indegno della “città dei tolli”, alla sua inguardabilità, segno della violenza speculatoria selvaggia esercitata su uno dei più bei centri storici della Sicilia.

Con il cemento armato abbiamo eretto enormi palazzoni dentro e fuori il recinto della vecchia città murata, abbiamo costruito centinaia di case nella valle dei templi violando un vincolo di inedificabilità assoluta, abbiamo costruito quartieri informi e caotici come il Villaggio Mosè, o del tutto privi di cifra urbanistica come Fontanelle e Monserrato. Abbiamo lasciato che le case e i palazzi storici del centro storico andassero in rovina, mentre la città si estendeva su un territorio vastissimo, che dalle propaggini di Aragona arrivava a quelle di Porto Empedocle. Una città esemplarmente antiecologica, che senza un servizio adeguato di trasporto pubblico era invasa dalle automobili fin sotto le scalinate e dentro i cortili del centro storico. Abbiamo trasformato la città dei templi in quella dei tolli: della dismisura, dell’arroganza privatistica, dell’abusivismo e anche del’ipocrisia di chi continuava dai pulpiti istituzionali a straparlare di città d’arte e di cultura, a vocazione turistica. […]
Noi abbiamo errato. Che il nostro errore vi sia utile.
 (Tano Siracusa)

…L’idea sarebbe quella nobile di sempre: l’utopia di promuovere una diversa coscienza nel cittadino ed una nuova cultura del vivere in un ambito urbano più a misura d’uomo. Quella dell’”educazione” dei cittadini (non solo dei tecnici) alla manutenzione degli edifici e alla cura della propria città, la capacità di leggerne gli elementi di valore e quelli di degrado” (Hamel, Galvano e Lauricella). Quella avveniristica dell’”Abbiatene cura” con cui Vinicio Capossela ha salutato il suo pubblico dopo il concerto nella Valle del 16 agosto.

Eppure, pare sempre che il mondo vada nella direzione opposta, come quando un magnate russo si era proposto di acquistare e portare in CCCP uno dei templi agrigentini.

Beh, a quel punto quantomeno si tagliava la testa al toro subito subito.
Bastava modificare i cartelli di benvenuto della città con qualche letterina posticcia e il gioco era fatto: “Welcome to Valley of Tolli!”
Semplice, veloce, non più dolore, casse del comune momentaneamente piene, e fine della orrida storia.

 * “C’era una volta” o “ Nei tempi antichi”, ispirato al celebre dipinto di Paul Gauguin.

** I palazzoni schierati sopra la valle dei templi sono chiamati “tolli”, sono frutto di una selvaggia speculazione edilizia iniziata negli anni ’60.


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