Materia oscura “stealth”

Creato il 25 settembre 2015 da Media Inaf

Stealth come furtiva. Stealth come imprendibile. Stealth come quei minacciosi aerei da guerra dal profilo sagomato così da essere invisibili ai radar. Da quanto emerge dai calcoli dei fisici dell’LLNL, il Lawrence Livermore National Laboratory californiano, e dai modelli dati in pasto a Vulcan (un supercomputer per il calcolo parallelo in grado masticare numeri al ritmo dei petaflop), sarebbe questa la natura della materia oscura: stealthy, appunto. Per forza non c’è ancora esperimento che sia riuscito a incastrarla.

Di cos’è dunque fatta, questa materia della cui presenza abbiamo sentore grazie soltanto alla sua attrazione gravitazionale? Secondo la nuova teoria, avrebbe natura composita e confinata. Come un neutrone o un protone, quindi. Solo che a comporla sarebbero dei fermioni dark. Una sorta di “quark oscuri” confinati in nuclei di stealth matter da una forza anch’essa dark e sconosciuta: l’equivalente oscuro dell’interazione forte descritta dalla QCD, la cromodinamica quantistica.

«È davvero singolare che una candidata particella di materia oscura, centinaia di volte più pesante d’un protone, possa essere costituita da componenti elettricamente cariche e, nonostante questo, possa esser riuscita a eludere, fino a oggi, il rilevamento diretto», dice uno dei coautori dell’articolo, Pavlos Vranas, dell’LLNL.

Ma non è sempre stato così. Nell’epoca immediatamente successiva al big bang, per esempio, la temperatura era talmente elevata da presentare le condizioni giuste affinché materia ordinaria e materia stealth riuscissero a interagire senza difficoltà. Condizioni che, sostengono gli autori dello studio, disponendo di acceleratori sufficientemente potenti potrebbero essere ricreate anche oggi. Permettendo così una rilevazione diretta della dark matter. Questo perché, sebbene i nuclei di materia oscura stealth – proprio come i protoni – siano estremamente stabili anche su scale cosmiche, quando si creano (come avveniva nell’universo primordiale) dovrebbero produrre una cascata di altre particelle nucleari a decadimento rapido. Particelle che potrebbero dar luogo a interazioni.

Certo, a voler essere maliziosi, si potrebbe pensare che sia piuttosto comodo spiegare l’oscurità della materia oscura ipotizzando un intero mondo oscuro dove una sorta di “quark oscuri” vengono tenuti assieme da una sorta di “interazione forte” oscura anch’essa, no? Ma il modello della dark matter stealth sviluppato presso il Lawrence Livermore National Laboratory, ora in corso di pubblicazione su Physical Review Letters,non si limita a questo.

«La materia oscura è oscura proprio perché interagisce in maniera quasi impercettibile con la materia visibile. Qualsiasi teoria per la materia oscura deve poter spiegare il fatto che l’interazione attuale con la nostra materia è così minimale, ma allo stesso tempo che le due siano state in interazione all’inizio dell’universo. La nostra teoria, che comunque non consiste in una “copia oscura” della materia visibile (basti il fatto che i “barioni” stabili sono “bosoni”, come per esempio i mesoni della nostra materia, e non “fermioni” come i protoni o i neutroni)», spiega a Media INAF uno dei coautori dello studio, Claudio Rebbi, della Boston University, «soddisfa questi requisiti e offre anche spiragli che potrebbero permetterne la produzione all’LHC, il Large Hadron Collider».

Aspetto fondamentale, quest’ultimo di LHC, rimarcato a Media INAF anche da un altro dei coautori, Enrico Rinaldi, dell’LLNL. «Non sappiamo molto della materia oscura, e i fisici delle particelle devono ipotizzare diversi tipi di modelli e confrontarli quotidianamente con i dati provenienti dagli esperimenti. Nel caso del nostro modello, che non è una copia esatta dell’interazione forte che conosciamo ma ha molti elementi in comune, esiste la possibilità che questo “mondo oscuro”, con le sue nuove particelle, possa essere rivelato dagli esperimenti in corso al Large Hadron Collider al CERN di Ginevra. Non importa quanto sia “comodo” spiegare la materia oscura», conclude dunque Rinaldi, «ma importa avere a disposizione modelli da confrontare direttamente con gli esperimenti: che, in ultima analisi, è quello che la Natura ci dice».

Per saperne di più:

  • Leggi l’articolo Direct Detection of Stealth Dark Matter through Electromagnetic Polarizability, di Thomas Appelquist, Evan Berkowitz, Richard C. Brower, Michael I. Buchoff, George T. Fleming, Xiao-Yong Jin, Joe Kiskis, Graham D. Kribs, Ethan T. Neil, James C. Osborn, Claudio Rebbi, Enrico Rinaldi, David Schaich, Chris Schroeder, Sergey Syritsyn, Pavlos Vranas, Evan Weinberg e Oliver Witzel

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina