Anno Mille. Periodo in cui la storia parla solo al maschile, e la vita delle donne è destinata solo a procreare e ad ubbidire alla volontà dell’uomo che ne decide la sorte.
Ma una donna, nata a cavallo tra il 1045 e il 1046 a Mantova, farà quello che è impensabile per quel tempo: indosserà l’armatura e guiderà le sue truppe contro l’imperatore, e regnerà di fatto per proprio nome e conto, tessendo il destino del re e della Chiesa. Lei è: “Matilde. Per grazia di Dio, se è qualcosa” come riporta la sua firma posta sul disegno di una croce.
Fin da piccola, dimostrò di possedere doti straordinarie, diversamente da molte nobildonne del periodo, trascorse molto tempo dedicandosi alla cultura letteraria. A tal proposito, Donizone afferma: «Fin da piccola conosceva la lingua dei Teutoni e sapeva anche parlare la garrula lingua dei Franchi. »(Vita Mathildis, libro II, cap. IV). Inoltre, aveva un carattere indomito e una grande predisposizione alle armi, per le quali era portata. Contrariamente alle rigide leggi medievali, ottenne infatti il permesso dal padre Bonifacio, di imparare a duellare con la spada. Cosa per cui si esercitò per tutta la vita e che la portò a combattere in prima linea durante le battaglie guidando le sue truppe.
Matilde la guerriera, con l’armatura lucente, in sella al suo cavallo bianco, con i riccioli rossi ribelli che fuoriuscivano dall’elmo, e la mano sull’elsa della spada.
Matilde stratega militare, che intrappolò le truppe di Enrico IV conquistando una vittoria che sembrava impossibile da ottenere.
Matilde che in cuor suo, avrebbe voluto dedicare la propria vita a Dio, fra le mura di un convento, in preghiera e meditazione, ma che servì quello stesso Dio con la forza che le derivava dalla determinazione e dal coraggio.
Alta, slanciata, bellissima. Con la chioma fulva che le ricadeva lungo le spalle, e gli occhi scuri intensi nell’ovale del viso.
A seguito la morte prematura del padre, la cui posizione era considerata scomoda dall’imperatore Enrico III, e del fratello avvelenato, come la sorellina, Matilde con il titolo di Grancontessa di tutte le terre italiche a nord dello stato pontificio, iniziò il suo governo combattendo per i suoi sudditi e appoggiando il papa durante la lotta per le investiture.
Il periodo più caldo: i suoi sforzi per trattare la pace fra il cugino imperatore, Enrico IV, e colui che riteneva il proprio padre spirituale: papa Gregorio VII.
Ciò che segnò nel corpo e nello spirito Matilde di Canossa, non furono le responsabilità di un regno, le battaglie in cui si batteva brandendo la spada, o le squallide illazioni che mettevano in giro preti e vescovi simoniaci al servizio di Enrico IV sul suo presunto legame carnale con papa Gregorio VII per demolirne l’immagine, bensì il trattamento che le riservò il marito impostole, Goffredo il Gobbo, da cui Matilde fuggì violando ogni legge del tempo.
Beatrice di Canossa, la madre di Matilde, per stringere un’alleanza potente si risposò in seconde nozze con Goffredo il Barbuto, duca della Bassa Lotaringia, vedovo e padre di Goffredo il Gobbo. Nell’atto matrimoniale era stata inclusa una clausola: Matilde avrebbe poi dovuto sposare il figlio del Barbuto: Goffredo il Gobbo.
Mentre Goffredo il Barbuto, oltre ad essere un uomo di bell’aspetto, si distingueva per valore e coraggio, e tutto sommato intrattenne rapporti di buona decenza e garbo con Beatrice, il figlio Goffredo non valeva la metà dell’illustre genitore.
Matilde ne era consapevole, e si mostrò restia ad accettare di onorare la clausola. Oltre l’evidente deformità fisica del futuro sposo, le bastò guardarlo negli occhi per coglierne il lato malvagio e perverso.
Nel dicembre 1069, a Verdun, subito dopo la morte di Goffredo il Barbuto, Matilde sposa Goffredo il Gobbo, divenendo duchessa di Lorena. Accetta con la morte nel cuore, consapevole della sua indole fiera e indipendente. Compie il suo dovere come era in uso nelle famiglie nobili del tempo, nella speranza di trovare un futuro migliore di quello che sembra attenderla rispetto all’uomo per cui prova repulsione.
Ogni suo timore si avvera. Non solo, il Gobbo si rivela peggiore oltre ogni aspettativa: violenta Matilde in modo sadico e perverso. Matilde resiste in virtù della creatura che porta in grembo. Prega il suo Dio per avere la forza di sopportare la situazione fino almeno alla nascita del frutto di quella violenza. Partorisce una bambina priva di battito, senza vita.
Goffredo il Gobbo la umilia e la offende dicendole che non è nemmeno capace di fare figli. Addirittura, la accusa di malocchio. Matilde, rimasta in Lorena disposta a sacrificarsi in nome del figlio che doveva dare alla luce, compie un atto impensabile per una donna, seppure potente, nell’anno Mille: abbandona il tetto coniugale e torna a Canossa, dove regnerà con accanto la madre Beatrice, senza l’ausilio di un uomo come era stabilito a quel tempo.
Sfidò le ire di chi la voleva sottomessa in quanto donna. Andò contro le regole battendosi come e più di un uomo, seguì la sua fede e il suo credo, dando ascolto al suo innato senso di giustizia, e alla sua grande intelligenza.
Nei libri di storia non viene dato risalto alla figura e alle gesta di donne straordinarie come Matilde di Canossa, sta a noi, figlie del nostro tempo, riscrivere la Storia, dedicando pagine a donne che ci rendono orgogliose con la loro grandezza.
Silvia Lorusso alias Penelope