Firenze, 1494. Il ventenne Rafael entra in città, al termine di un cammino durato settimane, per portare a compimento una misteriosa missione. Secondo i suoi progetti dovrebbe trattarsi di una sosta brevissima; il tempo di fare quello che deve fare e andarsene. “Non vuole guai”, né, tanto meno, vuole “farsi notare”, ma, al momento del suo arrivo, si ritrova a salvare la vita al ricco Jacopo da Forlì. Quando questo, per sdebitarsi, gli offre ospitalità in casa sua, il ragazzo intravede la possibilità di completare “comodamente” la sua missione, e decide di approfittarne.
Quello che non sa, è che qualcosa di più acceso e violento delle prediche di Savonarola sta per riscuotere i fiorentini dalla loro (relativa) tranquillità: un temibile serial killer è pronto a castigare i costumi corrotti della popolazione, richiamando (e anzi “inchiodando”) i cittadini all’esercizio delle Sette Virtù…
Matteo Di Giulio, Milanese, classe 1976, già critico cinematografico, curatore della collana Inchiostro Rosso, noir di rivolta (Agenzia X) e autore di La Milano d’acqua e sabbia (Fratelli Frilli editore) e Quello che brucia non ritorna, si cimenta qui per la prima volta con il genere thriller storico, e lo fa forte della sua assidua frequentazione del genere poliziesco, o almeno così pare: benché l’opera testimoni, nella cura delle ambientazioni (assolutamente pregevoli), degli usi e costumi -dei modi, delle abitudini, dei vizi, e così via fino ad arrivare alle pietanze-, un accorto e approfondito studio preliminare, l’autore non si lascia prendere la mano dal gusto per la ricostruzione, e punta tutto sul ritmo. La voce narrante aggiusta le distanze culturali e storiche tra lettore e personaggi con qualche tocco azzeccato, e senza mai cadere nel didascalico(1).
Narrazione e dialoghi, costruiti ricorrendo a un vocabolario volutamente antiquato ma mai lezioso, sono credibili e ben scritti.
L’intreccio concepito alla perfezione, complicatissimo, fitto di depistaggi e false indicazioni, e indipanabile fino all’ultimo, si nutre in maniera perfetta delle dispute ideologiche e culturali dell’epoca, forzandole appena un po’, per piegarle ai canoni del genere(2).
Il risultato è un prodotto moderno dalle solide basi storiche; un romanzo compiuto, la cui forza va rintracciata, più che nel “pittoresco” e nella scelta -azzeccatissima- dell’ambientazione, nel senso del ritmo e della misura dimostrati dall’autore.
I delitti delle sette virtù, di Matteo Di Giulio è edito da Sperling & Kupfer.
(1)Il romanzo storico, osservato da una prospettiva realistica, è sempre e comunque frutto di un compromesso: al lettore, culturalmente distante dall’epoca raccontata, occorrono alcune informazioni per seguire gli avvenimenti narrati, e a volte persino per comprendere la psicologia dei personaggi; così, oggetti di uso quotidiano al tempo della narrazione devono essere descritti nella forma e nell’uso a beneficio dei lettori; lo stesso vale per l’abbigliamento, per gli alimenti, per certe pratiche sociali ecc. ecc. Questa distanza e il bisogno di colmarla, sono alla base di una quantità di errori stilistici e goffaggini tipiche di tanti romanzi d’ambientazione non contemporanea. In questo caso, invece, l’autore si dimostra abilissimo nel mettere il lettore a parte di quanto necessario per seguire l’intreccio, senza dar l’impressione di raccontare, e senza incrinare la naturalezza della voce narrante.
(2)Il padre di Rafael, per esempio, è talmente illuminato da parere vagamente anacronistico; alcune affermazioni sull’Inquisizione e sulle eresie sono chiaramente segnate dalla nostra distanza storica ecc. ecc.