La parabola di Berlusconi è al termine, come ogni cosa tutto finisce. Quello visto sul palco a Bologna, nella manifestazione insieme a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è un Silvio Berlusconi stanco, invecchiato nonostante il cerone e la tinta ai capelli, costretto a scaldare il pubblico come fanno i gruppi spalla ai concerti delle rock star. Il suo essere subalterno a Salvini è un dato di fatto, soltanto un convergere con la destra populista della Lega e di Fratelli d’Italia può dare una boccata d’ossigeno a una Forza Italia in disfacimento. Costretto a rinnegare l’appartenenza ai valori moderati propri del Partito Popolare Europeo, anche se in fondo l’appartenenza a quell’area era soltanto nominale. Stavolta non ci sono spazi di manovra: o la destra populista o l’estinzione. Matteo Salvini ha quindi ereditato lo scettro di leader della destra, o almeno di quello che ne rimane, cioè nostalgici del ventennio a cui piace “l’uomo forte” e anche un po’ la frusta, rigorosamente sulla propria schiena. Basta vedere quanti saluti romani c’erano a Bologna.
Di destra moderata, come in ogni Paese europeo, qui in Italia non se ne vede, a meno che non si guardi all’attuale Governo, e non mi riferisco ad Alfano e il suo gruppo di fuoriusciti alla deriva. Il vero erede di Silvio è l’altro Matteo, quello al Governo. Senza cadere nella retorica del “Renzi è di destra”, Berlusconi si è visto realizzare buona parte delle riforme che ha millantato per anni: Abolizione art. 18, nuova Legge elettorale, abolizione bicameralismo perfetto, riforma rapporto Stato – Regioni, abolizione Province. Tutte cose che il Matteo fiorentino ha fatto e che il Matteo padano non ha mai argomentato, troppo impegnato alla guida della ruspa perché sa bene che in Italia ci sono molti trattoristi.
Due retoriche a confronto: Gufi e Trattoristi, in mezzo un’Italia con una crescita lenta e un livello di disoccupazione secondo solo a Spagna e Grecia. Due narrazioni a confronto, tra paura e ottimismo, entrambe estremizzate per fini propagandistici e lontane dalla realtà a tal punto da esasperare gli animi. Tra tutto questo, Silvio l’ottimista, quello che “la crisi è uno stato mentale”, ha scelto la ruspa. Perché la sua retorica è stata rubata dall’ex Sindaco di Firenze, che l’ha fatta sua a tal punto da costringerlo a ripiegare su un più semplice e popolare “liberiamoci e ripartiamo”.
Fonte: Botta di Classe