L’opera poetica Mi fa male una donna in tutto il corpo, di Matteo Maria Orlando, contiene elogi d’amore narrati in versi limpidi ed espliciti dedicati alla figura femminile, contraddittoria e multicolore, quale musa di esperienze di dolore e di profondo piacere. La tematica sentimentale è il sottofondo luminoso attraverso cui il lettore può osservare il reale individuando i propri percorsi emozionali. La Poesia non è l’espressione immediata di un’emozione; è un’emozione esatta, come diceva Eliot, proprio perché reagisce alla critica immanente ed è chiamata a giustificare la propria necessità (Massimo Cacciari). Matteo Maria Orlando colloca lo sguardo emozionale sull’anima della propria amata per tracciare un percorso di levitas senza staccarsi dai luoghi e dalle cose del mondo. Come tutti coloro che vivono il linguaggio poetico, l’autore non esaurisce il pathos nel significato, ma si lascia appartenere,in tutta la sua essenza, dal logos complice che conserva potenza e nobiltà filosofica: così io parlerei se potessi fare poesia (Eliot). I verbi pronunciati, privi di retorica, sono quasi tutti al presente perché spingono impulsi e immagini verso un moto in avanti, inteso come uno spazio fisico ed un tempo storico nuovo, architettato con cura e simbolicamente, da chi scrive. La poesia qui vuole significare esperienza del quotidiano sentimentale fissando l’attenzione all’estetica reale che sembra allontanarsi dalla concezione della poesia evasiva e oggettiva del primo Novecento. Il viaggio, in cui il lettore è accompagnato, è un unico atto d’amore: un tragitto lungo vari registri morali e di senso che confessano lo stato d’animo del poeta quale individuo immerso nelle proprie sensazioni e che sa riconquistare l’energia in eterno movimento del proprio corpo (Mi fa male una donna in tutto il corpo – Borges). Orlando comunica al lettore che la propria esperienza amorosa è aperta ad infinite dimensioni culturali che dovrebbero valutarla come un campo ideologico in cui l’universalità umana partecipa in modo totalizzante, senza porsi limiti, né confini. L’io diventa noi ed ogni evento pronunciato esce dal singolo per entrare a far parte di un coagulo di esistenze che comunicano e ricercano, sorprendendosi, il senso della vita. (rita pacilio)
S’avanza
S’avanza
tra fango e nebulosa
col ritmo incalzante dell’onda.
Porta la luna all’orecchio
e i dischi di Saturno al dito.
Ha il tango nel fiato,
ghirlande le fasciano i polsi
e per mani archi di salici piangenti.
Ferra i miei pensieri,
tutti li briglia.
Ignoro la sua natura
e il cosmo si flette
al suo passaggio.
***
Ti appartengono
Ti appartengono
le tele dipinte di rondini
e le rosee spade dei peschi
nei cieli di marzo;
i candidi crateri lunari
dove i sogni vanno a morire;
le avare radici di querce ed ulivi
sommesse al trono su cui siedi.
Pallide
le tue carni somigliano allo scrigno d’Otranto
forgiato nella valle cobalto.
Pece la boscaglia al capo
la falce col turbante
che giunse dal golfo.
Dal collo sgorga e ti avvolge come manta
l’odor tuo
e scende,come al porto
i monaci di Casole.
Ai tuoi piedi sopiti i dragoni d’Oriente
attendono il segno vegliardi dell’apocalisse
mentre ti elevi sul fato
con la morte al guinzaglio.
***
Parlami di questa terra
Parlami di questa terra
contorta e pestata come il giunco
del maestrale
che attinge ancora all’antico fusto.
Qui ogni albero è il primo albero,
come ogni donna
è la prima donna.
Quale sorte spinse il bove al triste giogo,
e quanto c’è
di cielo in terra?
***
Nelle stanze dei miei sogni
Nelle stanze dei miei sogni, sei
velo bianco che cinge il capo
rotondità di grembo
ogni nome che sigilla il nascituro.
Sei il pane che s’accalda
nelle mani della madre.