E’ senza dubbio una buona notizia per diversi motivi. Il primo è l’intento originario ovvero quello di svecchiare la politica ripulendo la scena dai vecchi parrucconi che bivaccano ogni giorno in parlamento e impolverano il dibattito pubblico nazionale, buoni sono a fare un po’ di teatrino nei talk show politici.
Il secondo motivo è che alla Leopolda fino ad ora si è parlato poco e niente di Berlusconi e molto di proposte concrete, quello che un po’ mancava nella miriade di esternazioni di Renzi. Finalmente a Firenze si vede una sinistra che tenta di uscire dal proprio complesso di inferiorità elettorale, parente molto stretto del complesso di superiorità morale e culturale che negli ultimi anni è andato a catafascio.
Il terzo motivo è che Renzi ha organizzato un qualcosa di non paludato, in un contesto informale che a tutto fa pensare tranne ad un incontro politico nel senso noioso del termine. Non si parla esplicitamente di candidature e non si discute di come abbattere l’orco, quello con la B maiuscola.
Il quarto motivo di soddisfazione per il giovane rottamatore poi viene dai suoi oppositori perché di questi tempi se sei criticato, spesso aspramente, da Rosy Bindi, da Gad Lerner e dalle frange Vendoliane vuol dire che stai facendo bene.
Al netto di tutto questo che è ben rappresentato dalla miriade di messaggi sui social network e in particolare su Twitter, strumento privilegiato a supporto dell’iniziativa (lo stesso Renzi commenta in diretta e legge a sua volta i commenti degli utenti) c’è da dire che quando ci si dovrà misurare con la tenzone elettorale qualche pensierino in più agli “altri” bisognerà pur farlo.
Chi sono gli “altri”?
Nella celebre serie tv Lost (a Renzi piacciono molto le serie tv made in USA) gli “altri” erano coloro che abitavano dall’altra parte dell’isola, per buona parte della serie immaginati come indigeni del luogo e poi rivelatisi qualcosa di più.
In questo caso gli “altri” sono tutti coloro che non hanno lo stesso entusiasmo generazionale legato appunto ai testimoni degli anni 80′ e 90, che non hanno la stessa dimestichezza con le nuove tecnologie, quelli insomma che gli metti in mano un portatile e non sanno da che parte guardarlo ma anche coloro che la tecnologia la usano ma per postare solo qualche foto, rispondere a qualche mail e fare qualche giochino ma non frequentano Twitter.
Tutti coloro che non si informano in Rete, che non “twittano” e non “postano”, che ai Forum di discussione preferiscono una sana chiacchierata in fila alle Poste o mentre aspettano l’etto di prosciutto crudo davanti al bancone del salumiere, Renzi come ha intenzione di intercettarli?
No perché in Italia sono ancora per adesso la maggioranza e sono anche persone per bene, colte, intraprendenti e nemmeno tutte ignoranti in campo tecnologico e nello specifico informatico, semplicemente non danno tutto questo peso a questi strumenti e ad uno streaming sul sito del Corriere preferiscono ancora un servizio del Tg in TV.
Questi come li gestiamo, caro Renzi?
Nel titolo di questo articolo c’è un termine inventato: Political Divide (letto “Divaid” e non l’indicativo presente del verbo dividere in italiano) prendendo spunto dal termine più conosciuto in ambito sociale che è Digital Divide ovvero la divisione sociale creata tra chi approccia in modo funzionale i nuovi strumenti di comunicazione e chi invece li rigetta o semplicemente non è in grado di utilizzarli.
Non sia mai che la nuova iniziativa dei giovani del Pd capitanati da Matteo Renzi che, ripeto per rafforzare il concetto, è meritoria e ampiamente positiva non solo per la sinistra, crei un’altra divisione che oggi è tra chi vive nella realtà di tutti i giorni e chi vive nel Palazzo e un domani potrebbe essere tra chi twitta e chi no.
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