Sulla terrazza il colore dell’alba si nota appena: rosato, quasi giallo, sprazzi di azzurro. Non ti ferisce la mano la tazzina del caffè ancora calda che stringi nel palmo, non ti disturba il canto degli uccelli che dai tetti si chiamano e gioiscono.
Sarà una bella giornata: calda appena per uscire con le braccia e le gambe nude, fresca tanto da sentire brevi brividi sulla pelle quando sarai dalla fontana e immergerai le mani – le tue mani – nell’acqua che scorre e bagna.
Spalanchi tutte le finestre della casa e fai entrare il giorno, cacci i dubbi e le paure della notte appena trascorsa. Lasci che l’aroma del caffè colmi anche l’aria fuori e si mescoli con il profumo dolce dei tigli.
Lalolle ha acceso la radio mentre fa la doccia, ascolta una musica dal ritmo rotto, non ne capisci le parole, ma gli stacchi del tempo si compongono in una nuova armonia che ti piace, ti piace davvero.
Il cane dei vicini abbaia, aspetta la passeggiata mattutina, il solito giro dopo una notte troppo lunga; passeggia sul davanzale un gatto nella casa di fronte.
C’è il silenzio buono delle cose, il rumore consueto e amato delle mattine d’estate quando la giornata che verrà si ferma sul limitare: la notte è finita, il giorno sta per arrivare ma non è ancora cominciato.
Puoi pensare piano, senza fare rumore, puoi ascoltare il richiamo della tortorella, il sibilo di un’arrotatrice che arriva da chissà dove. Puoi sentire Ice che cammina per casa scivolando silenziosa fra le stanze, puoi lasciarti passare un po’ di tempo intorno mentre annaffi le surfinie, controlli se i panni stesi sono asciutti.
Comincerà la giornata, fra poco, si spaccheranno i rumori veri contro le tue orecchie e dovrai farti forte e paziente, farti altro da te. Dovrai camminare e sorridere, rispondere e parlare, dovrai incontrare la gente.
Ora però, ancora, il colore dell’alba si nota appena: c’è ancora tempo, hai ancora il tuo spazio.
Gli altri sono troppi, per me.
Ho un cuore eremita. Sono
impastata di silenzio e di vento.
Sono antica.
Mi pento ogni volta che vado
lontano dal mio stare lento
nelle velocità della sera, nelle auto schizzate
di pianto. Col loro buio abitacolo.
E se sfreccio a volte
sulla modesta moto, è per cantare
a gola stesa l’ultimo del paradiso
fare il mio guizzo pericoloso
con tutto quel vento nel petto
seminare parole beate
nel panorama nervoso.
Mariangela Gualtieri
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