Maurizio Nocera e il fanalista D’otranto

Creato il 06 aprile 2011 da Cultura Salentina

© Stefano Cacciatore: Il faro di Punta Palascia a Otranto

Questo Fanalista d’Otranto di Nocera potrebbe far parte di quei costruttori di armonie che cercano di restituire solidarietà e consenso alle speranze dell’umanità, una riconciliazione con la tradizione mediterranea, un recupero del senso della vita dell’uomo. Del resto “se si dimentica l’uomo”, cosa rimane ?
Ma chi è questo fanalista metaforico utopico mitologico che riscopre un Salento quasi edenico a Capo d’Otranto, tra la cava di bauxite, il laghetto naturale, fitte distese di verde e un cielo azzurro di cristallo? E’ l’Ulisse-Nocera contadino (in fondo mai amò veramente il mare, piuttosto lo subì) che torna alla sua Itaca definitiva in attesa della morte – sa bene che comunque, prima o poi, verrà a bussare sui vetri – in pace e in serenità con sé stesso e il mondo, applicando come sistema di vita (altro chè colonne d’Ercole e terre sconosciute!) la sublime stanziale pigrizia, tra le più efficaci forme per arricchire lo spirito?

Insomma, è lui, questo quieto eroe del silenzio che ha spento le sue ansie, i suoi affanni, il suo furore, le sue passioni e non vuole più saperne di timone, alta marea, orientamento e punti cospicui, rotta e giri di boa e tutte le più inquiete emozioni dell’animo umano, il vero costruttore di armonie che può restituire solidarietà e consenso alle speranze dell’umanità?

Del resto, amici cari, non si può vivere veramente una vita da marinaio, non si può vivere ogni giorno come se fosse unico e con il naufragio addosso. La vita tempestosa è assai poco praticabile, anzi non esiste perché di tempesta ne basta una. In quell’assoluto caos primordiale, in quel supremo momento di ribellione e liberazione del mare , in quel tumulto di energia delle onde, in quell’incontro fugace e crudele ti afferra una vertigine di terrificante paura che ti segnerà, ti rimarrà negli occhi per tutta la vita. Per questo Conrad e Melville smisero di fare i marinai, di navigare e diventarono i narratori del mare, della vita sul mare: solo nel ricordo del futuro, nel racconto, nella fabula tutto diventa una specie di ebbrezza. Se non si diventa scrittori, anche in sedicesimo (quorum ego), i marinai fanno i faristi, i guardiani del faro, come il Fanalista d’Otranto di Maurizio Nocera, un poemetto dedicato al Faro della Palascia, un faro ormai abbandonato che si trova ad est di est, a strapiombo sul mare, al termine di strade tortuose, sentieri scoscesi e ripidi.

Quel faro è uno di quei “templi mediterranei” di cui parla lo scrittore Pedrag Matvejevic, in prefazione, dimora stabile dei poeti, e anche quando sembrano deserti e disabitati, c’è sempre, là dentro, il loro spirito da evocare, che è quello di un marinaio e di un poeta , oppure di un monaco (in fondo c’è qualcosa che accomuna i poeti e i santi), o di un vagabondo, un ciurmatore, un vecchio bohèmien del mare che dopo aver tanto navigato , dopo averne viste di tutti i colori, ha pensato bene di finire i suoi giorni in quella piccola cattedrale solitaria di calce e luce. E Nocera ha suscitato, o ri-suscitato, questo fantasma incrostato nel salnitro della lanterna, sepolto dall’ennesima passata di calcina.

Se ne è andato a fare un’escursione a Capo d’Otranto, facendo trekking dello spirito tra l’insenatura dell’Orte e il faro della Palascia , dove “il vento trasporta il ricordo di tristi messapi”, ha risalito ad uno ad uno, tutti “i centiventisei scalini di lava vesuviana“ e invece di trovarlo abbandonato (come tutti gli altri escursionisti) hai trovato lui in cima alla lanterna: “l’uomo dalla sciarpa svolazzante”, il fanalista d’Otranto , che “non teme il vento la pioggia il freddo/ e nella Valle delle Memorie il canale oscuro sfida/ che di notte a fiumara rotolando/ al mare trascina l’ignaro guardastelle” ….il “Palombaro di desideri profondi/….subacqueo d’azzurri…/ pellegrino di porti d’amore / navigante vagabondo di molte Otranto“.

E’ andato a scovarlo, questo marinaio incallito fumatore che puzza di tabacco, d’aglio e di mortella, perché sapeva che i fari sono templi costruiti da ingegneri poeti sacerdoti del mare per anime erranti, fatte di spume d’onde, colori, ritmo e vento; per vagabondi solitari come il fanalista d’Otranto che, con la “ bicicletta a mano nel vento” ricorda tanto “Il postino” di Troisi, con la sua faccia triste e la morte addosso, ma il cuore è leggero come il sorriso.

Io so, dice il poeta, che bisogna avere un cuore leggero per poter vivere nel nostro mondo d’angoscia, io so che per vivere questa nostra esistenza splendida e disperata, dove l’uomo non è che una malattia e polvere cosmica, bisogna avere il sorriso d’aria. E certe volte l’unica salvezza possibile è la fuga, e la fuga nel Salento significa andare inevitabilmente verso il mare, jonio o adriatico che sia, canale d’Otranto, sulle rive più orientali d’Italia, sul colle della Minerva dove “sul ceppo antico si disarticolano le ossa degli ottocento martiri con più di cinque secoli di memorie di mare , di sale e di vento, carmini di memorie ed echi di pianto”.

Avverte che per lui, per noi, queste sono le rive dell’infinito perché Otranto è una citta martire che gronda sangue più del vascello fantasma dell’olandese volante. E infatti c’è chi giura che ancora oggi se voi andate in cima, ma proprio in cima alla lanterna della Palascia, in una giornata densa di foschia, potrete vedere, in una luce straordinaria che non è di questo mondo, trireme, caracche e vascelli pirateschi e non, di tutti i tipi e forme. “Sono le navi che cercano, di faro in faro, la strada per tornare al loro approdo”. Ecco, questo è il senso del poemetto di Maurizio Nocera , “Il fanalista di Otranto”.

Trovare il proprio porto, il porto d’arrivo, che è lo stesso da dove siamo partiti. E farlo con un sentimento d’amore universale profondo, senza aver pietà di se stessi, ma con la consapevolezza che ciascuno di noi e tutte le cose del mondo hanno conosciuto la virtù del dolore, in ciascuna creatura c’è una sofferenza del cuore, ma fra tutte le forme conosciute bisogna scegliere quella che meglio si può sopportare trasformandola in vibrazioni e irradiazioni di gioia.

Tu che passi davanti a questa tomba allontana l’odio, ama la bontà; che nel tuo cuore ci siano i ricordi di tutti i favori e il perdono di tutte le offese. Così il martire di Otranto si rivolge a te, dalla sua polvere, e da lui forse non sentirai più una parola. Ma il Fanalista tornerà sempre a trovarti, fin quando il tuo sguardo saprà guardare oltre quel filo d’orizzonte che sta sopra le onde, sopra le righe, sopra le ore e i giorni.


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