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Tutti sanno che questo è un omicidio di mafia. Lo sostenne fin da subito Calogero Germanà, l'allora capo della squadra mobile trapanese, lo dicono i pentiti e la Procura di Palermo. Lo dice Totò “'u curtu” Riina, per il quale Mauro Rostagno era una “camurria”, una seccatura.
Sul banco degli imputati il killer – ed ex campione di tiro a volo della nazionale italiana -Vito Mazzara come esecutore materiale del delitto e Vincenzo Virga, capomafia trapanese, ritenuto uno dei mandanti dell'omicidio nonostante non sia mai comparso in un articolo del giornalista (la sua caratura criminale, infatti, venne accertata solo alcuni anni dopo).
A parlare, nell'udienza tenutasi ieri presso la Corte d'Assise trapanese, è uno dei personaggi più importanti per quanto riguarda la parte processuale dell'omicidio. Giuseppe Linares, infatti, è l'ex capo della squadra mobile (oggi a capo della Criminalpol) di Trapani a cui si deve la riapertura del caso nel 2008, quando le indagini erano ad un passo dall'archiviazione.
Interrogato dai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Francesco Del Bene e Gaetano Paci, Linares ha spiegato come l'idea di riaprire le indagini, all'epoca, venne da una semplice constatazione: «il modus operandi simile ad altri delitti».
Da qui, dunque, la necessità di riprendere in mano tutto il materiale fin lì prodotto per accertarsi se le indagini erano state svolte nel migliore dei modi. Come primo atto, la squadra mobile chiese una nuova perizia balistica, a fini comparativi, sui bossoli ritrovati sulla scena del crimine.
Il processo attualmente in corso sta dimostrando, peraltro, come per oltre venti anni non solo le indagini sono state fatte in maniera fortemente lacunosa (quanto volutamente?) e che, addirittura, alcuni verbali ed alcune testimonianze sono irreperibili o addirittura reperibili in fascicoli sbagliati e che, se immediatamente utilizzati, avrebbero portato alla chiusura delle indagini da molto tempo.
E proprio grazie alla perizia balistica è stata trovata la “firma” sull'omicidio Rostagno di Mazzara, che aveva la consuetudine di marcare le cartucce prima del loro utilizzo facendole attraversare la canna del fucile per poi essere colpite dalla culatta (la parte dell'arma destinata a contenere la carica ed a sopportare lo sforzo dell'espansione dei gas quando parte il colpo), senza però farle esplodere, modalità che rendeva di fatto impossibile ogni perizia ma che, ripetuta, diventava dunque una “firma”. Lo stesso sistema che ha “firmato” ad esempio, l'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto, ucciso l'antivigilia di Natale del 1995 come regale ai mafiosi che scontavano il regime del 41 bis.
Per quanto riguarda i due imputati, Linares ha ricordato come Vincenzo Virga – catturato dai suoi uomini nel 2001 – fosse l'uomo di Provenzano al quale era affidata la gestione degli appalti e delle imprese, compito esercitato insieme ai figli Franco e Pietro, a cui era affidato sovente il ruolo di mazzieri.
Per quanto riguarda invece Mazzara – che tra una gara e l'altra con l'effigie patriottica si accompagnava in attività delittuose con Matteo Messina Denaro – Linares ha ricordato come il resto di Cosa Nostra, non solo quella trapanese, tenga alla sua biografia (perché rappresenta un pezzo della storia della mafia) e, soprattutto, al suo silenzio, dato che un suo pentimento sarebbe un duro colpo per l'organizzazione.
«Mauro Rostagno era un giornalista fuori dal coro» - ha detto l'ex capo della squadra mobile - «questo suo modo di fare giornalismo, di fare le denunce non era raccolto da nessuno, mentre in quel periodo si procedeva a processare Mariano Agate, boss di Mazara del Vallo, per il delitto del sindaco di Castelvetrano Lipari, Rostagno da Rtc era a fare la cronaca di quel processo che restava non considerato adeguatamente dagli altri organi di informazione. Per quello che abbiamo tratto noi investigatori, questa circostanza dava fastidio a Cosa nostra». Già nel 1988, come ha ricordato Linares, gli editoriali di Rostagno sui cavalieri del lavoro di Catania interessati a lavori pubblici eseguiti nel trapanese entravano nei rapporti della Mobile, nonostante i riscontri giudiziari su questi fatti siano arrivati molti anni dopo.
Nei prossimi giorni (il 19 ed il 26 ottobre) saranno chiamati a testimoniare gli altri componenti della squadra mobile che riaprì il caso, gli ispettori Simona Pettorini ed Angelo Palumbo. «Giornalisti è il vostro momento per esserci, per farvi perdonare tanto silenzio», ha detto Maddalena Rostagno, figlia del giornalista.