È stato grazie alla mia prof di lettere delle medie. È stato grazie a quella donna solare, coi capelli ricci arruffati, con una borsa sempre strapiena di cose inutili (cucchiaini, fiori appassiti, castagne contro il raffreddore...). È stato grazie a lei che non insegnava i congiuntivi, che ci diceva che in fondo l'analisi del periodo era una questione di punti di vista. È stato grazie a lei, che non mi ha insegnato la grammatica, che ho letto questo libro. Eravamo in terza media. La prof non voleva un libro qualunque. Niente Pirandello, niente Verga, niente Svevo. Per la nostra ora settimanale di narrativa cercava qualcosa che ci incuriosisse davvero. Così ci propose un fumetto. Un fumetto? Pensavo fosse impazzita, ma lei ormai mi aveva abituato a tutto. Io avevo sempre pensato: fumetto = Cip & Ciop, Topolino, Tex, Zagor. Un fumetto come quello che ci fece comprare lei non potevo nemmeno immaginarmelo.
Art Spiegelman è il figlio di Vladek, un ebreo sopravvissuto all'olocausto, e scrive questo libro proprio per cercare di ristabilire un rapporto con il padre, ormai anziano, malato, troppo lontano da lui per mentalità e abitudini. Il suo libro a fumetti intreccia la guerra con l’amore, la paura con il coraggio e la speranza, partendo dall’epoca felice del matrimonio tra Anja e Vladek, nel 1937. Inevitabilmente alle loro vite normali si intreccia la storia, quella di un uomo basso coi baffetti che sogna un'Europa ariana, quella delle svastiche, dei ghetti, dei lager. “Maus” racconta l'Olocausto con le immagini. Gli ebrei sono topi, i tedeschi gatti, i polacchi maiali, gli americani cani, gli inglesi pesci, i francesi rane. È un libro davvero toccante. Ecco qui il frammento per “Il salotto di carta” del martedì. Oggi un pezzo di letteratura a fumetti.
p.s. grazie prof!