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MAX FONTANA NAZI-SUPERPOP | Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler | Il nuovo romanzo di Massimiliano Parente

Creato il 31 marzo 2014 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

MASSIMILIANO_PARENTEdi Massimiliano Sardina

<<…perché i nazisti, bisogna ammettere, facevano i migliori cappotti.

Come cascavano i cappotti nazisti, mamma mia, ogni volta vedi i documentari e resti incantato dallo stile.

E anche gli stivali, che stivali fantastici, io perché porto solo le Nike Shox,

ma se dovessi portare un altro paio di calzature porterei gli stivali nazisti.

Certo, poi direbbero che sono davvero un nazista, ma tanto lo dicono lo stesso.>>

(M. Parente, Il più grande artista…, Mondadori, 2014)

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Max Fontana è il più grande artista del mondo (dopo Adolf Hitler, naturalmente), e ce lo conferma anche il rispettabilissimo critico Angelo Schopf nel recente saggio Fontana Power. No, nessuna parentela con Lucio ­– quello dei tagli sulla tela, per intenderci – e, più in generale, nessun tipo di parentela o similitudine con qualsivoglia altro artista (a eccezione forse di Piero Manzoni e Marcel Duchamp, che però a ben guardare rispetto a Max Fontana facevano arte sacra). Chi è veramente Max Fontana ce lo racconta senza mezzi termini l’artista stesso nella sua autobiografia, una parabola che significativamente si dispiega tra due suicidi premeditati, il secondo dei quali perfettamente riuscito, e in perfetto stile Thelma e Luise. Massimiliano Parente – a poco più di un anno di distanza da L’inumano (Mondadori, 2012) – ci consegna un romanzo straordinariamente potente che, sotto la maschera dell’irriverenza e dell’ironia, rivela e denuda aspetti inquietanti delle sottoculture dominanti; qui nello specifico ad esser preso di mira è il cosiddetto mondo dell’arte contemporanea, quel carrozzone del trash & chic che si muove tra biennali lagunari e ar-riviste patinate, un mondo dove puntualmente quell’1% di arte autentica è irrimediabilmente sepolto da un 99% abbondante di autentica spazzatura. Parente, diciamolo, ci va giù pesante, ma lo fa con un linguaggio talmente irresistibile e surreale che vien quasi di giustificarlo anche nelle sue affermazioni più estreme. Il personaggio di Max Fontana è l’incarnazione dell’aberrazione, prima umana e poi artistica. È un artista fallito in una società fallita che lo decreta vincente. Difficile definire compiutamente la sua personalità, perché forse non ne ha una. È tanto impulsivo quanto estemporaneo, umorale, incline indifferentemente al bene e al male. È il perfetto artista-figo contemporaneo, coi capelli verdi alla Patrick Blanc, pieno di sé e vuoto di sé, autoreferenziale, egolatra e marchettaro. Vive e opera in una società che per buona parte gli assomiglia, una società venuta su a cucchiaiate di televisione, dalla Famiglia Cunningham a Doctor House.

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Come ha fatto Max Fontana a diventare Max Fontana? Come si diventa l’artista più grande del mondo? La ricetta è semplice, come ci spiega con dovizia di particolari lo stesso protagonista, ma richiede una buona dose di coraggio e tanta, tanta determinazione. Quarant’anni di fallimenti, di porte sbattute in faccia, di giudizi negativi, di opere imballate e chiuse nei magazzini… la desolante consapevolezza che tutto in arte è già stato fatto da qualcun altro, la demotivazione, l’umiliazione, l’inadeguatezza… ma poi, all’improvviso, proprio a un passo dal suicidio: l’illuminazione! Max Fontana eiacula sul celebre quadro di Courbet L’origine del mondo, viene immediatamente arrestato e il giorno stesso finisce sulle prime pagine di mezzo mondo. L’atto vandalico e osceno, fagocitato dagli ingranaggi scandalistici dei media, passa subito per una genialata, per un’azione performativa senza precedenti e catapulta l’artista direttamente sulla vetta dell’Olimpo della scena artistica internazionale. Eiaculare su un Courbet! E non su un Courbet qualsiasi, ma proprio su quel Courbet! Assolutamente geniale. Altro che l’acqua rossa nella Fontana di Trevi o i sacchi di palline fatti rotolare giù dalla scalinata di Trinità dei Monti. Di qui in avanti sarà tutto un crescendo di installazioni, performance e ready-made battuti all’asta a cifre da capogiro. Max Fontana diventa dall’oggi al domani l’artista più grande del mondo. Ogni sua opera è destinata a far discutere ancor prima d’esser concepita, a far discutere sì, ma soprattutto a indignare. Modello indiscusso e musa ispiratrice di Max Fontana si rivela fin da subito il noto dittatore Adolf Hitler. Potremmo semplificare e dire che: se Duchamp mise i baffi alla Gioconda, Max Fontana ha messo i baffetti al mondo intero.

Forse non tutti ricordano che tra il 1907 e il 1908 l’Accademia di Belle Arti di Vienna negò per ben due volte l’ammissione al mediocre paesaggista Adolf Hitler, inducendolo così a cimentarsi in altri campi (non occorre specificare quali); al fallimento come pittore però sarebbe presto subentrato il trionfo come performer-sterminatore. E a questo proposito l’artista dichiara: <<In ogni caso, come dittatore Hitler è un criminale dell’umanità, ma come artista è il più grande artista dell’umanità. Nessun artista è riuscito a fare cinquanta milioni di morti. Hermann Nitsch ha ucciso qualche mucca, forse. Damien Hirst ha messo sotto formalina squali e capre e mucche, ma uccisi da altri, non ha avuto neppure il coraggio di uccidersele lui le sue opere d’arte. Hitler, tra guerra e lager, ha mandato a morire cinquanta milioni di persone.>> L’opera d’arte che Max Fontana di volta in volta crea e espone non è che uno specchio (deformante e deformato) destinato a riflettere un pubblico che non

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riflette. Da Heil Mary! (opera eretta accanto al Colosseo: un’enorme Madonna col Gesù bambino che le penzola impiccato dalla vagina) alle celebri macchine (perfettamente funzionanti): Macchina per sputare sulla Cappella Sistina, Macchina per sborrare su chiunque, poi come non menzionare L’anima di Hitler (un’ampolla in vetro, vuota, come la duchampiana Air de Paris), fino alla contestatissima Welcome Big Bunny (una riproduzione gigante del coniglio Pink Rabbit della Toy Magic installato sull’isola di Lampedusa per stranire i profughi), passando per le sculture in silicone: Anche Giovanni Paolo II faceva la cacca, Anche Napoleone faceva la cacca…, e le svastiche in tutte le salse: dalla Nazi-Christ lignea di piccolo formato a quella di 36 metri realizzata con le barrette Kinder. Sacrilego, blasfemo, xenofobo, misogino, politically incorrect, antiecologista, antisemita, iconoclasta e finanche assassino. La creatività di Max Fontana non conosce limiti: se nella serie Se tutti facessero come me scartavetra e distrugge tavole di Masaccio, Giotto, Cimabue e dell’odiatissimo Beato Angelico, nell’installazione Homicide Box arriva a uccidere la sua segretaria – anche se involontariamente, sfondandole il cranio con una scultura fallica firmata Man Ray, poi divenuta anch’essa opera a sé stante – e a murarla, previa collocazione dentro un surgelatore, dietro a una parete con su scritto: “Sappiate che dietro questo muro c’è il corpo di una vittima murata morta dal suo assassino” con didascalia “Non sentite la puzza?” Tra le opere antiecologiste Max Fontana conia le Macchine per lo spreco, anche queste perfettamente funzionanti: Macchina per sprecare il dentifricio, Macchina per sprecare lo zucchero, Macchina per sprecare il profumo e la Bicicletta per inquinare (dotata di appositi meccanismi). Per violare la privacy della sua ex e, più in generale, dei personaggi famosi Max Fontana diffonde una nuova forma di videoarte: la Sputta-nation (filmati privati a sfondo sessuale diffusi via internet o in comodi dvd); al filone dello sputtanamento sono assimilabili anche opere come La spazzatura di Monica Bellucci, La spazzatura di Adriano Celentano e La prostata di Jack Nicholson (con vera prostata del noto attore conservata sotto vetro).

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Il repertorio delle opere di Max Fontana è incredibilmente variegato, anche perché tutto ciò che passa tra le sue mani si trasforma in opera d’arte, in una sorta di ready-made a getto continuo. Il capolavoro dell’artista è senza dubbio l’Homicide Box, un’installazione interattiva, un invito all’opera (con delitto), o come l’ha definita Angelo Schopf un “ready-made vivente assassinato congelato”. L’Homicide Box è un po’ la Cappella Sistina di Max Fontana, un’opera d’arte totale, assoluta, o-micidiale. <<È l’apoteosi del tocco di Max Fontana – scrive Schopf – che va oltre ogni concezione possibile dell’opera d’arte, che porta la realtà nell’arte e l’arte nella realtà fino a includervi la vita e la morte, cosicché diveniamo tutti complici di questa incredibile deflagrazione mitopoietica ipostatizzata, volenti o nolenti: entrano a far parte dell’opera il cadavere della vittima, l’acquirente dell’Homicide Box, gli inquilini del piano di sotto primi avvistatori della macchia di sangue sul loro soffitto, i pompieri che hanno praticato il foro di entrata nell’appartamento, compromettendo l’integrità dell’opera, ma portandola al suo compimento, e noi stessi, critici, giornalisti, opinionisti, spettatori, che ne parliamo e la commentiamo in un saggio, in un articolo di giornale, in televisione, e addirittura gli stessi inquirenti che stanno conducendo le indagini.>> Max Fontana è un’ibridazione tra Nitsch, Serrano, Cattelan, Hirst, Orlan, Manzoni, Duchamp… e, ovviamente, Adolf Hitler. Un autentico mostro assemblato sul tavolo operatorio di Lautréamont. Raggiunta la fama e il successo, ottenuto il plauso della critica, sicuro di essersi guadagnato un posto di primo piano nella storia dell’arte, Max Fontana decide di spingersi ancora oltre, animato da uno spirito d’onnipotenza d’hitleriana ascendenza. L’artista più grande del mondo si incammina così verso una progressiva autodistruzione. Finirà i suoi giorni in una fuga delirante tra il kitsch di Las Vegas e il minimalismo del deserto, braccato dalla polizia e da un tumore (la sua cattiva coscienza?) che gli sta divorando il cervello, e si lancerà nel vuoto con l’amata scimmietta, un salto definitivo alla Thelma e Luise. Anche nell’ultima fase delirante Max Fontana non reprime la sua creatività: <<Ho disegnato un ragno svastico con la pipì, pisciando nel deserto. È venuto ancora più spastico del solito, un ragno svastico-spastico, e è contemporaneamente piscia d’artista ready-made, land-art, action painting, o addirittura, se volessi esagerare, l’intero deserto dell’Arizona che diventa una mia opera d’arte. Voglio firmare il Grand Canyon.>>

Tanto di cappello a Massimiliano Parente perché Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler è davvero un signor romanzo, intelligente, insolito, esilarante, da leggersi tutto d’un fiato. L’espediente narrativo dell’autobiografia (con l’inserto del saggio di Angelo Schopf e l’elenco delle opere citate in appendice) potenzia l’intimità tra protagonista e lettore, e fin dalle prime righe è impossibile non provare simpatia per Max Fontana. <<…Ma di tutto questo non importerà niente a nessuno. È così struggente il pensiero che tutto finirà, che qualsiasi cosa che esiste finirà e sarà come se non fosse mai esistita, che la luce è solo il provvisorio inganno di un eterno buio.>>

Massimiliano Sardina

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