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Max: The Curse of Brotherhood (Recensione Xbox One)

Creato il 22 gennaio 2014 da Edoedo77

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E’ un platform game con elementi puzzle sviluppato da PressPlay, un team di sviluppo danese. E’ approdato nel 2010 su dispositivi portatili con il titolo di Max & The Magic Marker.
Adesso lo ritroviamo su Xbox 360 ed Xbox One, ribattezzato Max: The Curse of Brotherhood e torna a far parlare di sé con un lavoro di remake, che lo fa giungere allo splendore dell’alta definizione dei nostri televisori da salotto con un motore grafico tanto impressionante quanto promettente: Unity. Disponibile come titolo Xbox Live Arcade al prezzo di 15 euro, Max: The Curse of Brotherhood – già dal filmato introduttivo – ricorda alla lontana il mai dimenticato Heart of Darkness, uno dei più emozionanti platform mai realizzati ad opera di Eric Chahi (il “papà” di Another World e From Dust).

MAX IL PASTICCIONE

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La valanga di eventi che porta Max, il protagonista di questo gioco, nasce nella sua cameretta. Di ritorno da scuola, trova il suo fratellino Felix che ha messo a soqquadro la stanza del fratello maggiore.
Esasperato da tale invadenza, Max corre al computer, cerca una formula magica per fare scomparire suo fratello dalla faccia della terra, la trova e…funziona! Un portale si apre nella stanza di Max, una mano mostruosa irrompe da chissà dove e afferra Felix.
I sensi di colpa attanagliano Max dal primo istante e – prima che sia troppo tardi – il nostro “pel di carota” si getta nel portale prima che questo si richiuda. E’ l’inizio di una magica avventura che oppone Max al perfido Mustacho, in palio c’è la vita di Felix.

IL PENNARELLO MAGICO

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Dopo una breve introduzione a base di sezioni platform e scene di intermezzo tratte direttamente con il motore di gioco (il già citato Unity), Max ottiene da una strega un potente strumento in grado di cambiare la morfologia di cose più o meno inanimate dell’insidioso mondo nel quale il ragazzino è finito.
Questo strumento, in inglese, si chiama Magic Marker, in italiano possiamo etichettarlo come Pennarello Magico. Con la pressione del grilletto destro, dunque, Max evoca il gigantesco pennarello che è in grado di fare emergere rocce, radici, rami, acqua e fuoco in punti ben precisi ed evidenziati di ogni livello. Questa facoltà permette al protagonista di superare i puzzle e i punti altrimenti impossibili da superare contando sulle proprie forze.
Andando avanti nel gioco, dunque, le meccaniche vanno approfondendosi sempre di più, fino a rendere Max: The Curse of Brotherhood, un titolo che spinge a spremere le meningi per arrivare fino alla fine.
Non mancano delle fasi platform che ricordano il già citato Heart of Darkness o il più recente Limbo, nelle quali tentare, morire, riprovare e (di tanto in tanto) sperimentare con i poteri del Marker sarà l’occupazione principale del giocatore.

UN PO’ PLATFORM E TANTO PUZZLE

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Il mix tra fasi platform e fasi puzzle è ben reso nonostante l’ago della bilancia sia decisamente a favore di queste ultime. Il gioco basa la sua essenza nell’utilizzo dei poteri del pennarello magico e nella capacità, del giocatore, di sfruttarne i poteri per cavarsi fuori dagli intoppi.
Il bello di questo gioco è proprio questo: non si esce fuori da una situazione scomoda in maniera unica, ma ciascuno può arrivare alla soluzione dell’enigma nella maniera che ritiene più logica, consona o opportuna. In questi termini, Max: The Curse of Brotherhood, riesce a far scuola in un campo, quello dei platform, in cui è davvero difficile ritagliarsi uno spazio di discreta portata.
Quel che gli sviluppatori dovrebbero apprendere dai maestri del genere (Super Mario Bros per dirne uno a caso) è come si cesella e perfeziona il sistema di controlli. A volte, nelle fasi più concitate, la fatica di Press Play non sembra rispondere ai nostri input con la dovuta tempestività, senza contare che Max ha un’abilità di saltare quanto meno discutibile.
Che sia una scelta ponderata o una mancata attenzione nei riguardi della risposta ai comandi e nei riguardi della reattività del protagonista, questo non ci è dato saperlo. Quel che si avverte, gamepad alla mano, è che in diverse occasioni si cade nella dipartita del protagonista più per demerito del sistema di controllo che per effettiva incapacità del giocatore.
Questi difetti non impediscono a Max: The Curse of Brotherhood, di ergersi come platform di prima scelta nel panorama di Xbox, stimolante quanto basta e longevo il giusto: si arriva ai titoli di coda nell’arco di 8 ore. Un capitale, specie se consideriamo il prezzo di vendita, la qualità tecnica e ludica messe sul piatto dell’offerta e se confrontiamo la durata di questo gioco con altri ben più costosi.

CONCLUSIONI

Piccola perla, sia grafica che ludica, che costa poco e vale tanto. Più di ogni euro speso per il suo acquisto. Max: The Curse of Brotherhood è un videogioco platform con tanti elementi puzzle che all’impatto ricorda (ai più stagionati) quel piccolo prodigio che fu Heart of Darkness per Pc e per PlayStation One. Più lo si gioca e più i puzzle a tema magico e fisico ricordano il recente Trine o giochi simili. Non è un gioco per tutti, non è la punta di diamante di Xbox One e Xbox 360, ma nel suo genere può regalare soddisfazioni a molti.

Pregi: Utilizzo del motore grafico Unity encomiabile. Stimolante quanto basta. Libertà di risoluzione puzzle. Ricorda glorie vecchie e nuove ed ha un suo stile inconfondibile.

Difetti: Talvolta impreciso. Una volta portato a termine lo si riprende difficilmente.


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