Máximo Chehin e la vita delle parole

Creato il 06 marzo 2011 da Antonio Maccioni

Non preoccuparti se non riuscirai a capire ogni cosa dei libri che leggi, scriveva Pavel Florenskij alla giovane figlia, in una lettera struggente e appassionata, dal lager delle isole Solovki, intorno alla metà degli anni Trenta del secolo scorso. “La bellezza non è una cosa nella quale si possa penetrare immediatamente”.
Sono arrivati da pochi mesi in Italia due significativi racconti di Máximo Chehin, Ultimo cerchio e Il cielo sotto i piedi. Le storie dell’autore argentino raccontano di lettori che non possono comprendere le parole – facendo proprio il testo – perché non possono guardare le parole fino in fondo. Il limite dei personaggi delle due raffinate e simboliche novelette – che sono due uomini dalla vita così diversa e così uguale – sarà quello di non essere stati capaci di lasciar entrare l’alfabeto nella vita. Così lo dice Andrea Pomella: “Anche per questo, attraverso la lettura, fuggo dalla miseria della vita quotidiana, perché ho una necessità infinita di ingrassare il mio vocabolario, la mia lingua, perché gli strumenti che ho a disposizione non sono mai adeguati per precisare la natura dei miei sentimenti umani”.
Un appartenente a un’organizzazione segreta riceve un libro: crede possa mettere in pericolo l’organizzazione stessa. Ma chi l’avrà mai scritto? Perché quel documento è finito proprio nelle sue mani? Il titolare di una tipografia acquista un volume antico, dal quale cade accidentalmente un foglietto con un messaggio in copto antico: sono parole che annunciano l’Apocalisse o una lettera personalissima per la vita che verrà domani? “Lui la interpreta come un segno che riguarda l’umanità intera, pecca di superbia e si ritiene il destinatrio di un messaggio universale” ha spiegato Máximo Chehin a Julieta Leonetti. “E quando capisce il suo errore ormai è tardi”. Ultimo cerchio e Il cielo sotto i piedi sono due racconti brevi, e sono due messaggi da leggere e da ritrovare.


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