di: Miyazaki Hayao.
Animazione. Dal romanzo omonimo di Eiko Kadono (1985).
- GIA 1989 -
102 min
Che Miyazaki Hayao (classe 1941) abbia sovente esaltato la propria immaginazione sino a lambire il meraviglioso e' cosa nota anche ai ciottoli non levigati in fondo al Lete. Ciò che e' interessante osservare da subito - e parliamo di un lungometraggio del 1989 (!), arrivato solo ora al suo luogo d'elezione, il buio della sala, grazie all'ennesima prova di labirintica imperscrutabilità offerta dalla distribuzione nostrana, capace stavolta di mettere insieme un tortuoso percorso a tappe che ha visto una prima uscita su dvd nel 2002, un nuovo adattamento per la presentazione al Festival del Cinema di Roma del 2010 e l'odierno esordio sul grande schermo - e' la freschezza e la soavità pressoché intatte, dopo quasi un quarto di secolo, di una storia semplice (nella struttura e negli snodi) di crescita e formazione riguardante una persona dotata di qualità fuori dal comune.
La figura di Kiki, strega tredicenne in casacca nera, ballerine arancio scuro, grosso fiocco rosso in testa a contenere la zazzera bruna, radiolina portatile e scopa d'ordinanza, che abbandona il suo paese natale per un periodo di apprendistato in una nuova città, arricchisce la lista dei fanciulli svegli e sensibili di Miyazaki, ne preconizza di futuri, protagonisti di altre avventure (dalla "Principessa Mononoke", 1997, a "La città incantata", 2001, fino a "Ponyo sulla scogliera", 2008), e prosegue nell'esplorazione dell'infanzia e della prima giovinezza come età dell'incanto e al tempo banco di prova per la definizione della qualità umana di un individuo. La mini fattucchiera, in compagnia del gatto Jiji (con cui dialoga correntemente), osservatore rilassato e ironico della realtà, si sceglie una città "affacciata sul mare" (uno dei tanti ibridi architettonico/stilistici con cui il regista giapponese suole reinventare luoghi lontani: qui ritroviamo suggestioni scandinave, olandesi, proprie di borghi della Francia settentrionale o del Belgio, come pure morbidezze e punti di fuga tipici di latitudini più mediterranee), decide di prendervi dimora e dopo un primo momento d'incomprensione e diffidenza - per nulla causato, e' opportuno sottolinearlo, dalla sua natura di strega, a ribadire, da un lato, l'essenza fondamentalmente prodigiosa dell'esistenza stessa e, dall'altro, l'altrettanto radicato istinto guardingo nei confronti del "diverso", dello "straniero" in quanto tale - trova impiego presso un forno che vende pani e dolciumi, inventandosi il ruolo di fattorino volante per le consegne a domicilio.
Col tempo scoprirà aspetti del mondo che non conosceva; farà amicizia (con Ursula la pittrice, in particolare, in cui Kiki ragazzina si rispecchia e s'intravede da adulta e che le insegna l'onore e l'onere impliciti nell'avere dei doni. "Il sangue della strega; il sangue del pittore; il sangue del fornaio... doni per i quali possiamo anche soffrire", le dice). E si sentirà frustrata e delusa; proverà lo smarrimento di non trovarsi più a suo agio con se stessa (poteri che si affievoliscono; Jiji che diventa incomprensibile: il suo frasario pacato e sardonico torna ad essere un qualunque miagolio). Collegherà alcuni suoi rossori a sensazioni ancora indistinte, forse avvisaglie di amori a venire: comprenderà, soprattutto, la relazione indissolubile tra privilegio e sacrificio.
La curiosa bellezza della vicenda - così lineare si e' detto - deriva pero' dal suo modo di essere restituita con un tono lieve eppure sotterraneamente frenetico (a non secondario vantaggio del ritmo interno del film): Kiki e' sempre in movimento, accompagnata e sospinta dal vento, dalle nuvole che sembrano anticiparla/rincorrerla; dalle anatre selvatiche che la instradano o dai corvi che la incalzano. L'unica stasi e', in realtà, una forma d'immobilità forzata che si manifesta in un febbrone, diretta conseguenza dei continui strapazzi e di un'abbondante fradiciata. E ancora, con un taglio narrativo e un punto di vista in cui curiosità, apertura all'esterno, gentilezza, sono sempre contrappuntati da inaspettati momenti di amarezza, di ripensamento: qui e la' un'incertezza, una piccola inquietudine, quasi a rendere in extremis avvertita l'intuitiva propensione anagogica dell'occhio infantile.
TFK
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