Mazara e la lacrimuccia per il boss Agate

Creato il 12 aprile 2013 da Ivano Asaro @IvanoAsaro

“Contro il carattere non ci si può andare”. Gli anziani lo dicono sempre: “Il carattere è carattere!”. Quante volte ci siamo resi conto che ci sono cose che non riusciamo proprio a non fare: non essere eccessivamente ottimisti, irascibili, ritardatari o magari semplicemente non sapersi tirare indietro in determinati contesti. Tutta colpa del carattere. Le idee, di fronte all'evidenza o a teorie più convincenti, si possono cambiare, il carattere solo mitigare o adattare. Il carattere è una vertebra del nostro agire, una costola della nostra anima, forse la più efficace dimostrazione di una connessione tra spirito e dna. Ma allora, se il carattere è una cosa nostra, innata, può essere il tratto distintivo di un popolo (di questa o quella regione), come lo è il colore dei capelli o degli occhi?

Mariano Agate

La scorsa settimana il mafioso mazarese Mariano Agate è morto. Da boss (si è scritto), senza mai un pentimento e presumibilmente con i rimorsi tutti dentro lo stomaco. Di lui si dirà che è passato a miglior vita, anche se religiosamente parlando, la sua strada non è certo dritta per il paradiso: l’uomo degli omicidi condizionati (o preannunciati) dal carcere, dei summit mafiosi in stile imprenditoriale, ha avuto, tra le altre cose, il disonore di curare la latitanza di Totò Riina nella città del Satiro. Era quel potere muto ed indefinibile, che non si sapeva dove cominciava e, peggio ancora, dove finiva. In una terra di morti e di guerre intestine ha incarnato lo sguardo di Cosa Nostra, quello sguardo che diventa giudizio, che trasforma una Vespa bianca in una Mercedes, un maglione umile in una toga, una pistola in una sentenza. Ecco chi era costui: più temuto di Messina Denaro, affrontava in maniera gradassa i visi degli organi giudicanti. Dal suo arresto tanto è cambiato: Mazara è ancora patria di mafia. Di quella “stupida”, si dirà, dei piccoli avventori che hanno i covi dentro gli uffici delle banche compiacenti, di coloro i quali si nascondono dietro l'assegno post-datato e che non hanno neanche più quella prosopopea dei romanzi di Sciascia. Una mafia in tono minore, in grado solo di aggiungere paradosso al danno concluso dai loro predecessori. Talmente diversa che spunta come al solito la frase (quella che tanto poi arriva sempre, che impedisce di battere Cosa Nostra, che tiene ancora in libertà Messina Denaro): “Una volta si sapeva chi comandava. Uno aveva un problema, andava da loro e lo risolveva, ora invece neanche più un posto di lavoro si riesce a trovare”. Mariano Agate era uno di quelli che rintracciavi non per simpatia, ma per utilità. Era, come tutti i boss precedenti, lo specchio riflesso delle mancanze dello Stato. Alcune domande però sorgono spontanee: 
  • perché nel 2013 la gente (e non solo chi ha tante primavere alle spalle), reclama i tempi che furono? 
  • Perché sembra quasi, che sotto la coltre di buonismo ed ipocrisia, Mazara abbia versato una lacrimuccia per il boss deceduto
  • Forse è quel carattere di cui parlavo prima? Che i siciliani (e nello specifico i mazaresi) abbiano un carattere tendente alla mafia? Che la sentono una cosa loro? 
  • Frasi come quelle dette sopra, i riferimenti ai tempi andati, la nostalgia per i giorni in cui certi nomi non si potevano dire (figuriamoci attaccare), sono il segno che qualcosa di profondo lega la nostra città alla mafia. Ma è davvero frutto di una propensione naturale? E’ davvero questione di carattere se molti concittadini si sono lasciati scappare frasi di apertura verso tale personaggio? 
No, non è solo questo. Anzi non è per niente questo. Io non so se esista un carattere tipico dei popoli, ma comunque non c'entra niente con la schifosa reazione che i mazaresi, nel loro privato, hanno espresso nei riguardi di Mariano Agate. Sia chiaro: non tutti i Mazaresi si sono espressi in toni concilianti, taluni hanno tirato dritto sulla strada della legalità e della libertà di pensiero.

Molti però hanno messo da parte il cervello, il cuore e la morale per lasciare parlare la pancia. Ma non nel senso politico del termine, ma proprio alimentare. Mi spiego. Mazara, per fattori locali ed internazionali, è arrivata già oltre il punto di non ritorno: anche se domattina l'economia, dall'edilizia alla pesca, passando per l'agricoltura e l'artigianato ripartisse, tutto sarebbe drasticamente diverso rispetto a tre o quattro anni fa. Queste persone non possono perdersi in sillogismi aristotelici, non possono stare con la schiena dritta perché non hanno una cultura in grado di sorreggere un pensiero compiuto (la mafia direbbe "beata ignoranza"), e poi ci sono figli da sfamare, affitti e mutui da pagare. Chi rievoca quei tempi, in maniera stupida ed inconsapevole, è pronto a barattare diritti e autonomia in cambio di tranquillità e stabilità (un terreno ideale per chi come Matteo Messina Denaro esercita il suo potere sulla valle del Belice e le coste del trapanese). Certo chi è, seppure in minima parte, a favore della mafia, non va giustificato, MAI.  Bisogna capire d’altro canto chi è pronto a mettersi tra le lacrime sotto il giogo di un omicida, chi svende la propria dignità per 50 euro di spesa

Matteo Messina Denaro

Ecco, Mazara è questa. Non per carattere, ma per crisi, dilaniata tra scuole e vie intitolate agli eroi della guerra ai mafiosi, strade piene di pseudo imprenditori che fanno affari loschi ed una politica che già con largo anticipo si preoccupa delle prossime elezioni. Mazara non è più quella del metodo corleonese di Agate e Sinacori. Mazara è semplicemente quella dei pezzi di merda che scimmiottano altri pezzi di merda del passato.




Ivano Asaro


Ivano Asaro

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