Per la Corte Ue "i calcoli effettuati dal giudice nazionale per quantificare gli importi da restituire, tenuto conto dell'insieme degli elementi portati a sua conoscenza, possono anche avere come risultato un importo pari a zero".
Per facilitare il passaggio del segnale tv dall'analogico al digitale, nel 2004 il governo italiano inserì nella finanziaria un contributo pubblico di 150 euro per ogni utente che acquistasse un decoder, contributo poi abbassato a 70 euro nel 2005. A seguito delle denunce presentate da Centro Europa 7 e Sky Italia, la Commissione Ue ha dichiarato che gli aiuti erano illegittimi e incompatibili con il mercato interno e ha imposto all'Italia di recuperarli. Dopo un'indagine per individuare i beneficiari degli aiuti, che ha escluso Ti Media e Fastweb, la Commissione ha indicato che l'importo da recuperare da Mediaset ammontava a 6,8 milioni di euro, cifra poi ridotta a 4,9 milioni. Mediaset nel 2009 ha versato 5,9 milioni di euro, ma ha fatto ricorso al Tribunale di Roma, invocando l'applicazione errata dei criteri di quantificazione stabiliti dalla Commissione e l'erroneità dei calcoli effettuati per determinare i profitti supplementari derivanti dall'aiuto. Ma nel 2011 una perizia ha stabilito che non era stato dimostrato che l'aiuto avesse effettivamente influenzato le vendite di decoder in Italia.
La Corte Ue ha sottolineato che la Commissione valuta la compatibilità di un aiuto con il mercato interno, ma non è tenuta a determinarne l'importo esatto dell'aiuto da restituire. Compito che spetta al giudice nazionale.