Medicina Cinese: elementi introduttivi (1)

Creato il 26 luglio 2010 da Sarpasana

Invito all’ascolto

Una delle caratteristiche più interessanti dell’approccio cinese è, a mio avviso, la peculiare concezione del rapporto tra teoria e pratica. Per noi, la pratica è l’azione, spesso deliberata, che consegue ad una teoria chiara e coerente, e la teoria una sistematizzazione il più possibile univoca e razionale dell’esperienza, destinata a servire da base e regola per le esperienze successive. Si tratta di una visione non erronea in sé, ma certamente conscio-centrica, ovvero fondata sulla totale predominanza di ciò che la mente cosciente può percepire e organizzare. Invece, nell’esperienza degli antichi cinesi, a metabolizzare la vita, trasformando il vissuto in idee, sensazioni e gesti, non è tanto l’io cosciente, visto semmai come un fattore limitato e relativo, ma qualcos’altro di più profondo e oscuro, individuale ma radicato nell’intero pensiero della natura. Allo stesso modo in cui a digerire del cibo è l’organismo, in un processo essenzialmente involontario e autoregolato, così qualcosa di affine (ma più vasto) a ciò che noi chiamiamo l’inconscio assorbe in sé, valuta e trasforma l’esperienza restituendola poi solo dopo alla comprensione dell’io, a volte improvvisamente, a volte gradualmente, dopo periodi di frequentazione ricettiva delle realtà. Ad una domanda filosofica, un antico taoista o un maestro chan risponderanno con il silenzio e l’invito alla pratica, o con una reazione volta ad allentare la presa della mente sulla realtà, ma generalmente mai accettando il punto di vista, illusorio perché relativo, dell’io che pone la domanda. In questo modo, la visione della realtà non è qualcosa di indotto, creato, ma qualcosa che emerge spontaneamente alla superficie da un deposito reattivo racchiuso nel nostro essere.
Mentre il pensiero analitico, razionale, discriminante, si presta a dividere l’esperienza in parti, creando astrazioni utili alla manipolazione finalizzata della realtà, il pensiero non-discriminante, che è comprensivo, olistico, ricettivo, crea uno spazio vuoto adatto a fare entrare l’intera qualità dell’esperienza, per poterla percepire nella sua integrità viva e pulsante di organismo unico che costantemente muta direzione, colore, suono.
Il linguaggio della medicina tradizionale cinese è un linguaggio sorto così, tramite un percorso non riconducibile ai metodi e ai criteri della cosiddetta scienza, ma per via esperienziale. Ed è così che a mio avviso dev’essere affrontato, lasciandosi portare dentro alle cose nascoste dietro ai simboli che le evocano. E’ così che gradualmente ho scoperto, nel mio lavoro quotidiano di naturopata, ciò che adesso vedo e riconosco del vasto  e spesso oscuro mare di indizi che ci è pervenuto tramite gli antichi testi della medicina cinese: provandone pratiche, stimoli e visioni direttamente nell’esperienza, come semi gettati sulla terra e dai quali la terra trae, secondo la sua natura e necessità, fiori vivi e nuovi. E ogni volta, tramite svolte ma fisiologicamente, il percorso si approfondisce e si allarga, allentando sempre più la maglia del pensiero e sostituendo alle idee le intuizioni. L’unico modo per non fare sì che le informazioni che seguono restino scansioni nebulose e astratte è quindi quello di renderle da subito pratica, ritrovando nei processi naturali ciò a cui si riferiscono, le qualità che accomunano cose apparentemente dissimili.

Le fonti della medicina tradizionale cinese

Il testo chiave a cui si fa riferimento è il Classico dell’interno dell’Imperatore Giallo (Huangdi Neijing), a sua volta diviso in due testi, Domande semplici (Suwen) e Perno spirituale (Lingshu). Un terzo testo funziona da fonte, ed è il Classico delle difficoltà (Nanjing). Bisogna tenere conto però che quello che noi possediamo è soltanto una minima parte dei testi antichi di medicina, e anche se informazioni di medicina e fisiologia si trovano spesso in molti altri libri,  non strettamente medici, ricostruire le effettive teorie e pratiche tradizionali è molto difficile. Per ciò che possediamo si tratta, come sempre per i testi antichi, di rielaborazioni successive di materiali precedenti, a loro volta depositari e interpreti di conoscenze, spesso orali, ancora più antiche. La medicina del Neijing è radicata in una tradizione sincretica, variegata e complessa e al tempo stesso né è un’evoluzione, un’interpretazione. Quindi, noi leggiamo quello che fu il frutto di una sistematizzazione avvenuta, per il nucleo più antico, probabilmente intorno al quarto secolo a.C. e fino ai primi secoli d.C., e non quanto di più antico appartenne al tesoro di conoscenze di operatori, sciamani, maghi, maestri di Qigong, che in Cina (come gli analoghi nelle altre civiltà) spesso stanno all’origine della cultura medica.

Medicina?

Dato che la terminologia può ingannare, esplicitiamo innanzitutto che per “medicina” cinese non si intende una medicina nel senso odierno, ma piuttosto una forma di quella che oggi chiamiamo naturopatia. Non una “terapia”, ovvero una lotta a supposte “patologie” tramite mezzi di riconduzione del comportamento di psiche e corpo ad uno standard di normalità, ma una pratica di armonizzazione, rigenerazione e liberazione delle naturali risorse che nell’individuo mantengono il dinamico e mutevole equilibrio della vitalità.

(continua)

Stefano Riccesi

Naturopata


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