Meglio tardi che mai: La storia dei tre Adolf

Creato il 12 dicembre 2013 da Alessandrodiele

Nuova rubrica, con recensioni di fumetti immortali che tutti dovrebbero leggere una volta nella vita e che se non li hai letti, guarda, è meglio tardi che mai! Si comincia con la Storia dei tre Adolf, di Osamu Tezuka, recensito per il magazine online MyWhere. Su MyWhere, per inciso, appariranno in anteprima quasi tutti gli articoli di questa rubrica più altre cosette (interviste e approfondimenti), quindi continuate a tenerlo d’occhio!

Osamu Tezuka – La storia dei tre Adolf

 

«Questa è la storia di tre uomini che si chiamavano Adolf. Ognuno di loro ha condotto un’esistenza molto diversa da quella degli altri due… anche se il loro destino è stato avvolto da un’unica spirale. Ora che l’ultimo Adolf è morto, racconterò la storia per coloro che verranno.»

 

Giappone, fine anni Trenta. Adolf Kauffman e Adolf Kamil sono due bambini che crescono insieme nella cittadina di Kobe. Il primo è figlio di un diplomatico nazista e di una donna giapponese, il secondo è ebreo. Ciononostante, sono ottimi amici. Ma le grandi vicende storiche che stanno prendendo forma in Europa segneranno profondamente il loro destino, dividendoli e portando le loro strade a incrociare, più o meno direttamente, quella di un terzo Adolf, quel führer che presto metterà a ferro e fuoco il mondo intero; sulla stessa strada si imbatterà suo malgrado anche il giornalista Shoei Toge, nel momento in cui tenterà di recuperare un documento top secret che prova che Hitler è di origini ebree.

La storia dei tre Adolf, di Osamu Tezuka, prima ancora di essere un manga è un potentissimo romanzo storico. Le passioni, i dubbi e le paure di un’intera generazione, quella che ha vissuto in prima persona la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto, si riflettono nei protagonisti di questa vicenda, che cercano con le loro piccole vite di imporsi sul corso della Storia, trovandosi tuttavia troppo spesso a essere semplici spettatori di dinamiche fuori dalla loro portata.

Sia chiaro però che questa ineluttabilità non si traduce in un invito alla resa: i personaggi di Tezuka si muovono in continuazione, si affannano e combattono senza posa, e a volte cercano di avere la meglio persino su se stessi. Il problema è che le forze in gioco sono superiori alle possibilità dei singoli individui: ci sono la guerra, la prevaricazione, i pregiudizi. C’è l’odio, in tutte le sue forme, un odio che diventa forse il vero unico protagonista e motore della trama e si diffonde come un virus, consumando tutto ciò che trova sulla sua strada.

Come si fa allora a sconfiggerlo? È Shoei Toge a individuare l’unica soluzione possibile: bisogna arrivare a capire che l’odio è capace solo di provocare dolore e miseria, saperlo e farlo sapere a tutti, fare sì che questa consapevolezza sia universale e immediata.

E per farlo, forse, può bastare raccontare la giusta storia, magari una storia piccola, di piccole persone, ma grande, immensa nel suo significato. Nelle ultime pagine del romanzo, un Toge ormai invecchiato fa visita alla vedova Kamil e le rivela che intende scrivere un libro che racconta la storia di suo marito, di Adolf Kaufmann e di Adolf Hitler. La donna risponde perplessa: «Ma mio marito era solo un soldato, non ha condotto una vita interessante». Toge non è d’accordo. «Al contrario», le dice, «questa storia verrà letta da milioni di ‘Adolf’ in tutto il mondo. E i figli di questi milioni di ‘Adolf’ tramanderanno la storia ai loro figli e così di seguito, di modo che tutti possano capire davvero cosa significhi ‘giusta causa’…»

«È solo un mio sogno», conclude Toge. È il sogno che dalla sofferenza possa nascere qualcosa di buono, il sogno di un mondo in cui non è l’odio a segnare la Storia, ma la memoria di ciò che è stato ci aiuta ad affrontare con maggiore saggezza ciò che sarà.

Un sogno che ci sentiamo di condividere.


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