Memoria di Lavoro: esecutivo centrale e differenze individuali

Da Psychomer
by Concetta Maffione on febbraio 24, 2012

La nostra memoria come ben sappiamo è una struttura molto complessa, grazie ad essa siamo in grado di conservare informazioni per lungo tempo e di impiegarle, in seguito, per fronteggiare con maggiore efficacia situazioni simili a quelle passate. In questo modo la memoria permette un continuo adattamento dell’uomo all’ambiente circostante.

Secondo il modello di Atkinson e Shiffrin (1968) essa si compone di più sistemi, nello specifico, esistono tre magazzini di memoria che consentono tre fasi di elaborazione dell’informazione: il primo è il registro sensoriale che cattura l’informazione mantenendola nel suo formato per brevissimo tempo; da qui l’informazione passa ad un magazzino di memoria a breve termine per poi essere archiviata definitivamente nel magazzino di memoria a lungo termine.

Per quanto riguarda la memoria a breve termine essa è stata definita da Baddeley e Hitch (1974) “memoria di lavoro”. Essa rappresenta, secondo i due autori, un sistema multicomponenziale a capacità limitata che facilita una serie di attività cognitive quali il ragionamento, l’apprendimento e la comprensione.

La memoria di lavoro è composta da tre sottosistemi: il circuito fonologico che facilita l’acquisizione del linguaggio, il taccuino visuo-spaziale che manipola le rappresentazioni visuo-spaziali e sembra essere coinvolto nell’acquisizione della conoscenza semantica e l’esecutivo centrale, un sistema di controllo che regola il funzionamento dei due sistemi assertivi. Quest’ultimo è anche coinvolto in una serie di processi cognitivi come la pianificazione e la presa di decisione, la selezione di strategie appropriate alla situazione e l’integrazione d’informazioni provenienti da fonti differenti. Un altro aspetto importante dell’esecutivo centrale è rappresentato dal controllo attenzionale, un tipo di controllo intenzionale che necessita di numerose risorse cognitive per svolgere due importanti funzioni:

  • spostare l’attenzione da compiti di primaria importanza a compiti secondari;
  • esercitare un controllo inibitorio, cioè sopprimere informazioni irrilevanti in modo da consentire l’accesso a informazioni rilevanti.

 Alcune evidenze sperimentali hanno messo in luce che esistono differenze individuali nella capacità di memoria di lavoro, cioè, esistono individui con ampie capacità di memoria di lavoro e individui con una ridotta capacità di memoria di lavoro. Nello specifico, tali differenze sono legate al modo in cui è impiegato il controllo attenzionale: gli individui con ampie capacità di memoria di lavoro hanno maggiori risorse cognitive rispetto a quelli con ridotte capacità di memoria e questo consente loro d’essere più abili nell’attivare un controllo attenzionale quando devono recuperare informazioni rilevanti per un dato compito. Grazie all’attivazione del controllo attenzionale è possibile, infatti, inibire le informazioni irrilevanti e recuperare quelle d’interesse ottenendo, così, prestazioni migliori rispetto a coloro che hanno ridotte capacità di memoria. Questi ultimi, infatti, avendo poche risorse tendono ad attivare prevalentemente strategie di controllo automatiche che pur essendo meno impegnative, non sempre sono efficaci nel guidare la ricerca dell’informazione rischiando, così, di compromettere l’esecuzione del compito.

Concludendo, differenti livelli nella capacità di memoria di lavoro sono legati a differenti modi d’impiego di strategie automatiche e di controllo intenzionale; e queste differenze, a quanto pare, possono influire largamente sullo svolgimento di un compito cognitivo e, quindi, sulla performance dell’individuo.