I risultati delle recenti elezioni amministrativi non bastano certamente – ed è in ogni caso auspicabile che non siano considerati bastevoli – a trarre grande conforto rispetto a delusione, avvilimento e irritazione provocate dai risultati delle elezioni politiche del 25 febbraio scorso.
Che il Partito Democratico e i suoi massimi dirigenti non abbiano dato buona prova di sé, sprofondando sino al nadir segnato dalle vicende della elezione del Presidente della Repubblica, rimane una realtà innegabile. Al di là delle molteplici e contrastanti tesi ed interpretazioni complottarde, inciuciarde – e, a mio parere, soprattutto pasticciate – dell’accaduto, mi sembra che sia stato scarsamente evidenziato il caratterizzarsi di quanto verificatosi come il vero e proprio scoppio di una bolla: risultante, in questo caso, da un intreccio perverso di avventatezza, sicumera, pavidità e desolante carenza di leadership politica.
Tutto ciò detto e riconosciuto, però non mi sembra davvero che le interpretazioni e le reazioni largamente prevalenti espresse da commentatori ed opinionisti, di grido o meno, così come da esponenti più o meno autorevoli – e talvolta sorprendentemente inclini all’autoritarismo – della società civile, per terminare con talune esternazioni ribellistiche di militanti noti e meno noti e di diverse strutture di base dello stesso PD, abbiano dato prova di particolare perspicacia e raziocinio. E trovo un supporto, in questo giudizio, proprio nella sorpresa che viene oggi manifestata dagli stessi soggetti rispetto ai risultati delle amministrative.
Tanto per esemplificare, a me è sembrata emblematicamente grottesca la caccia ai 101 traditori, additati come congiurati di una manovra occulta per l’affossamento della candidatura Prodi, la mancata realizzazione di un governo di cambiamento e la preferenza per un governo di larghe intese. Una caccia che sembra trascurare il fatto, non proprio insignificante, che comunque l’adesione dei 101 non avrebbe consentito il raggiungimento del quorum per l’elezione di Prodi. Già nel formulare la proposta, quindi, si contava di poter raggiungere i voti necessari con le successive, ulteriori votazioni: ma allora, perché mai non si è insistito, da parte della stragrande maggioranza dei grandi elettori PD-SEL, perché si continuasse a votare Prodi, tentando di recuperare una parte almeno dei voti riottosi e acquisirne altri, anche in seno al Movimento 5 stelle? Non è forse la norma, nella storia della nostra repubblica, che il Presidente venga eletto dopo numerose e spesso alternanti votazioni?
Personalmente, non trovo nemmeno convincente l’ipotesi che i 101 voti mancanti appartenessero tutti e soltanto ai ranghi del PD. Una ipotesi data universalmente per scontata ma ciò nonostante indimostrabile, dal momento che il voto è segreto e che nemmeno l’uso dei puntini – prima, dopo, o in mezzo al nome – può considerarsi uno strumento incontrovertibile di riconoscimento del voto. (Incidentalmente: perché mai non si adotta per le votazioni dei grandi elettori la regola secondo cui gli espedienti diretti a rendere riconoscibile il proprio voto ne comportano la nullità, così come è regola per le votazioni di noi piccoli elettori?)
Ma di più, e inoltre: quale senso ha,evocare le categorie del tradimento e dei traditori in sede di elezione del Presidente della Repubblica? Qui non è certo in discussione l’irresponsabilità e/o l’incoerenza e la pavidità politiche di quanti in un’assemblea democratica abbiano aderito, addirittura per acclamazione, ad una candidatura, salvo poi boicottarla nel segreto dell’urna. E tuttavia, se la nostra Costituzione prevede che questa elezione avvenga a scrutinio segreto – evidentemente per affrancare gli elettori da qualsiasi tipo di pressione e consentirne il concorso al di là delle appartenenze – come si fa a parlare a cuor leggero di tradimento quando i risultati non siano conformi a dichiarazioni e/o previsioni? Dobbiamo allora presumere che la ricerca delle larghe convergenze prevista per questa elezione debba necessariamente contare sulle dimensioni comparative dei tradimenti che si verificano all’interno degli schieramenti? Oppure si presume che quelli dei nostri che non votano per il nostro candidato siano null’altro che traditori, mentre quelli dei loro che non votano per il loro candidato, siano encomiabili illuminati sulla via di Damasco?
Ancor più lontano da qualsiasi ragionevolezza sta il fatto che il biasimo, l’ira, la derisione e l’irrisione per il mancato obiettivo di dar vita a una svolta, al governo di cambiamento, siano stati tutti ed esclusivamente appuntati, pressoché da tutti, contro la dirigenza del PD, che finisce per esser considerata non soltanto la principale, ma l’unica responsabile del cosiddetto inciucio PDL-PD.
Lasciamo perdere il paradosso per cui più acuti contro il PD sono quelli levatisi da parte di chi non ha votato la coalizione PD-SEL, contribuendo così a indebolirne le posizioni di forza. Questo risponde al costume folcloristico cui ci hanno da tempo abituato frange fin troppo cospicue, tanto intransigenti quanto inconcludenti, di sedicenti esponenti, puri e duri, della sinistra, di quella vera.
Ma come si fa a dimenticare, o comunque a non mettere nel conto, che in virtù dei risultati del voto del popolo sovrano del 25 febbraio, l’unica possibilità di un governo di cambiamento avrebbe potuto realizzarsi con la convergenza, in Parlamento, dei voti della coalizione PD-SEL e del Movimento 5 Stelle ?
E allora, come si fa ad imputare non già la principale, ma qualsiasi responsabilità di questa mancata convergenza al PD ed alla sua dirigenza?
Sembra annegato nell’oblio collettivo il fatto che già a partire dall’iniziale proposta dei famosi 8 punti Bersani il Movimento 5 Stelle ed il suo mentore Grillo – mentre accusavano Bersani di aver rubato almeno alcuni di quei punti al loro programma! – hanno proclamato chiaro e tondo che non avrebbero mai appoggiato, nemmeno astenendosi sulla fiducia, un governo di centrosinistra. Chi è mai che, con coerenza e costanza adamantine, ha operato perché si verificassero le condizioni di necessità che hanno portato al governo di larghe intese, dando a bere a folte schiere di gonzi come una profezia quello che, a chiunque guardi ai fatti senza paraocchi, risulta essere era un obiettivo preciso, del resto in diverse occasioni apertamente conclamato come strumento essenziale per spazzar via tutto il vecchiume della politica?
Dagli innumerevoli e variegati spalti dai quali si lanciano invettive e reprimende sul vergognoso ed innaturale connubio PD–PDL a me non risulta sia stata mai lanciata una qualsiasi proposta concretamente alternativa: una proposta, cioè, realizzabile senza cacciare il paese nell’avventura drammatica di una assenza di governo e della reiterazione delle elezioni con questa stessa legge elettorale: con tutto quel che potrebbe conseguirne – ancora oggi - sul piano economico e sociale, in una situazione di crisi della cui gravità si rimpinzano talk-show, testate giornalistiche, inchieste strappalacrime, ma che poi non si considera sufficiente a configurare uno stato di necessità da affrontare così come si può.
Il grande argomento agitato da tanti, da pressoché tutti, è che si sarebbe tradita la volontà dell’elettorato, la cui maggioranza ha dimostrato di non volerne più sapere di Berlusconi.
Verissimo.
Purtroppo, potrà non piacere – a me certamente non piace – ma è altrettanto vero che una maggioranza di poco inferiore, ma pur sempre maggioranza, ha dimostrato di non volerne sapere della coalizione PD-SEL. Anzi, le amministrative chiariscono che c’è una parte dell’Italia assai più propensa a muoversi spendere il proprio voto quando è direttamente in ballo Berlusconi, piuttosto che, genericamente, il PDL e i suoi satelliti.
Una banale, anche se desolante, verità non può essere esorcizzata attraverso analisi che analisi non sono: ossia, non la scomposizione della realtà in tutte le sue componenti, per dedurne poi possibili obiettivi, necessariamente parziali e limitati, e linee di condotta corrispondenti; ma la considerazione soltanto di quelle componenti della realtà che si prestano a sostenere le proprie tesi, formulate in modo da soddisfare i nostri desideri. Sostituendo così all’analisi quello che, sinteticamente, si definisce wishful thinking, che ci consente di abbandonarci all’invettiva, all’accusa, allo sdegno, al rifiuto: a tutto ciò che aiuta a farci individuare una responsabilità altra da noi, un nemico esterno da abbattere, la convinzione di essere nel giusto nella quale consolarci e crogiolarci.
All’origine vera dei problemi, dovremmo saperlo riconoscere, sta la questione che noi cittadini del bel paese, alla fine dei conti, vogliamo non tutto, forse, ma certamente di tutto. Lo vogliamo subito. E lo vogliamo gratis.
Purtroppo non è dato di scorgere, od ascoltare, consistenti élites di quale estrazione che sia – politica, culturale, sociale – impegnate seriamente nel farci capire, e digerire, la realtà con la quale ci si deve misurare; nel chiarire che ci sono alcuni rilevanti obiettivi, per quanto parziali e al di sotto dei desiderata di una parte della società, che possono e, quindi, devono essere perseguiti; nel rammentarci che oltre il cortile di casa c’è un mondo assai più vasto, per molti versi anche spietato, con il quale però si deve interagire e ci si deve misurare, piaccia o non piaccia; nell’evidenziare che quella che oramai può definirsi la necessaria ricostruzione o rigenerazione di questo paese, della sua civiltà, non può che essere un lavoro di larga e lunga lena, lungo un percorso tutt’altro che rettilineo, e che occorrerà pagarne i prezzi necessari per tutto il tempo che sarà necessario.
Così, proprio nel momento in cui la necessità impone di venire a patti con lo schieramento avverso, ci sono forze – come SEL – che decidono di ritirarsi e lavarsene le mani, contenti di raccogliere applausi per la propria coerenza con gli obiettivi proclamati – mai con il PDL! – e incuranti di indebolire, nell’innaturale ma necessaria intesa, proprio la parte di cui sarebbe importante rafforzare il potere contrattuale. Anche la coerenza, purtroppo, sembra oramai misurarsi e riconoscersi nella retorica delle posizioni verbali, piuttosto che nella concretezza dei comportamenti.
L’impressione generale non può non essere quella di una società dalla memoria scarsa, dalle tante e tanto contrastanti pretese, incapace di guardare al di là del naso delle sue componenti e darsi una prospettiva. Una società che troppo spesso smarrisce il senso della realtà oltre il limite, varcato il quale, lo smarrimento si estende al senso del ridicolo.