Destino biologico, condanna alla retorica, certo è che in qualsiasi circolo, partito, giornale ogni 8 marzo mi è toccato parlare o scrivere di donne con contorno di film edificanti, ogni 27 gennaio parlare di shoah, più che di memoria, argomento largamente sgradito, con contorno di Schlinder list o di La vita è bella. Ed è anche questo il motivo per il quale aborrisco i giorni della memoria, le consacrazioni celebrate per ridurre a 24 ore l’obbligo di conoscenza e coscienza.
In quattro anni di Simplicissimus, ogni anno ho preso la solenne decisione di sottrarmi all’obbligo morale, per poi sentirmi rimessa in riga da mio papà, uomo tenerissimo che di solito non frequenta la mia coscienza,preferendo invece qualche incursione onirica confortante e domestica.
È che lui aveva sempre scelto la lotta contro l’inazione, il coraggio contro l’ubbidienza, la resistenza contro l’acquiescenza. Tanto che, quando alle elementari una maestra ferocemente fascista e antisemita, mi sottopose a una pubblica umiliazione a proposito del mio “sangue semita e della connessa indole alla remissività”, e mia mamma propose di cambiarmi di scuola, lui, peraltro tenerissimo, apprensivo e amoroso si ribellò: anche se è piccola deve imparare a ribellarsi, a non farsi trascinare via come un agnello, deve sottrarsi a un destino di vittima, non è vero che tutte i morti sono uguali, quelli del Ghetto di Varsavia non hanno pagato anche il prezzo della dignità. Ho passato anni orrendi in quel banchetto della scuola Alfredo Oriani, ma penso avesse ragione e me la ricordo ogni giorno quella lezione, guardandomi intorno in questo paese che con la rivendicazione del suo riscatto ha perso anche la possibilità del futuro.
Così per senso del dovere nei suoi confronti, nei confronti del suo ardente amore per la verità e del suo odio per l’ipocrisia, anche quest’anno, invece di incollare il link del post dell’anno scorso o di quello prima, tragicamente attuali, mi sento in obbligo di ripetere stancamente concetti ormai così banali da essere considerati irrilevanti, così detti e ridetti da indurre all’equivoco che facciano parte di un pensare comune.
Altro che paese senza memoria, certi obbrobri invece hanno una feroce persistenza, certe ignominie non muoiono mai nelle teste degli imbecilli. Tirar fuori il maiale già abusato del sistema elettorale mi rammenta i racconti dei miei zii ai quali gli innocenti compagnucci di scuola mostravano il pinzo del cappotto piegato a orecchia di porco, per dileggiare la prescrizione cosher a non alimentarsi con carne suina. E tanto per non dimenticare i protocolli dei savi, ecco il riaffiorare ricorrente del fiume carsico infame della congiura della demoplutocrazia giudaica dei banchieri ebrei responsabili anche della crisi contemporanea. E che dire della condanna che sempre ritorna, inflitta al popolo ebraico, una condanna al ricordo indelebile del torto subito, riconoscendogli una tale qualità di “eletto” e “sovrumano”speciale, così da essere unico popolo al mondo a non doverlo infliggerlo ad altri, e se lo compie uno Stato, esserne responsabile e pagarne il fio a qualsiasi patria si appartenga. Che invece a noi sarebbe concesso rimuovere il passato di emigranti per respingere che bussa alla nostra porta, o cancellare la vergogna delle leggi razziali per replicarle pari pari con nuovi “ebrei”, e perfino quella elettorale, altro porcello che torna, per rifarlo anche peggio di prima, annientando la cittadinanza.
E come non pensare alla ripetizione ossessiva e diffusa dell’istituto del confinamento, del lager, del campi dove isolare e reprimere chi deve pagare il prezzo di essere diverso, di non essere conforme, ridotto a vita nuda fino alla morte civile o fisica. O la riproposizione dell’accanimento con il quale si identifica un avversario, un nemico, un capro espiatorio in modo da giustificare e legittimare una guerra o una purga o un pogrom. O il ripresentarsi periodico di dittature anche apparentemente più ridicole o meno cruente, me che mortificano con la stessa bestiale pervicacia idee, pensiero, ragione, civiltà.
Altro che paese senza memoria, qui c’è invece molta gente che conserva il ricordo di ciò che è stato proprio perché ne renda possibile il ripetersi, perché se un evento si è potuto verificare, non venga inatteso il suo rifarsi, perché una barbarie già compiuta e largamente condivisa e elaborata avvalora gli individui che stanno per commetterla di nuovo, che sperano che una colpa collettiva susciti una assoluzione collettiva. O un unanime oblio finale, nella morte dell’umanità.