San Luca visto da lontano in autostrada. La macchina che procede lungo strade che diventano via via più familiari. Fino ad arrivare a una casa che di familiare ha tutto. Il saluto degli amici. La FinkBrau di casteldeboliana memoria. La spesa con lo “sparaflash” all’Esselunga, che basterebbe per un reggimento. La pizza dal “paki”. Just dance. E poi la pioggia e tu che non te ne curi perché sei sotto kilometri di portici. Vedere un’amica che non incontravi da tempo e farsi stritolare dai suoi abbracci pieni di affetto. Un aperitivo al Pratello. Raccontarsi e raccontare di tutto e di tutti. La voce metallica che dice “11 C. Corticella” quando sali sull’autobus. Preparare gli scherzi per la laurea di un amico. La mattina della laurea andare a prendere lui e aspettare che il tuo ragazzo lo aiuti a sistemare la cravatta. Vederlo vestito “elegante” e non poter credere che sia lo stesso tipo che il giorno prima giocava a Just Dance con una bandana verde fluo in testa. Attaccare lungo i muri della facoltà fotomontaggi simpatici. Assistere alla proclamazione. Cantare “Dottore, dottore, dottore del buco del c…!”. Fare (io soprattutto) foto su foto. Mettere in moto la macchina degli scherzi progettata lungo tutto il weekend. Ridere ridere ridere. E poi ancora in giro. Andare a trovare una carissima amica per un saluto più che dovuto. Finire a bere una birra casalinga cercando di recuperare il tempo lontane per raccontarci mille cose. Prendere ancora in giro il nostro ex relatore comune ai tempi della tesi. Camminare per le strade amate. Riunirsi per una “pasta assorbi-alcol”. E ancora su e giù per via Indipendenza per in contrarsi con l’amica/coinquilina/sorella. E scoprire che certe cose, certe storie, certi pensieri, potrai raccontarli sempre e solo a lei. E poi abbracci, tanti abbracci. Sentire il calore umano, mentre la pioggia cade sulle case, le chiese, le piazze, il Nettuno e i suoi amici piccioni. E la sera festa alla mitica, scorbutica, storica, rude, unica Osteria del Sole. Bere vino e fare casino. Farsi buttare fuori dal posto dal poco accogliente padrone (“Non si può cantare, non si può ridere, non si può fare nulla”). Dirigersi alla volta di Piazza Santo Stefano. E continuare a bere, ridere, scherzare, cantare. Festeggiare il laureato. Fare foto che a riguardarle poi ti vergognerai. Ma sorriderai anche. Con un pizzico di nostalgia che ti appannerà lo sguardo per un attimo. Passaggio obbligato sotto le Torri. E poi fare amicizia con l’ultima barista della serata. E ritrovarsi in Piazza Verdi per salutarsi con la promessa e la speranza di rivedersi presto. E ricordarsi del presente, di cosa siamo oggi, di quello che ci aspetta. La vita. Preparati o meno è lì ad attenderci. Mi commuovo un po’, mentre abbraccio tutti. E la mattina dopo in stazione. Quella stazione che mi ha visto passare in ogni stagione, con ogni tempo, anno dopo anno. Stessa valigia, stessi sogni, stessa io. O forse non più la stessa. Prendere l’ennesimo treno. E mentre il treno va, voltarsi un’ultima volta e guardare fuori dal finestrino la città allontanarsi. E a salutarti per ultimo un cartello che rimarrà sempre nella tua testa e nel tuo cuore: Bologna. Anche questa volta mi hai regalato ciò che di bello si può avere nella vita. Grazie per far in modo che non me ne dimentichi mai.
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