Mendel dei libri di Stefan Zweig

Creato il 09 settembre 2011 da Spaceoddity
Non è la prima volta che un libro di Stefan Zweig entra nella mia vita. La sua caratteristica è di trovarsi lì, nella mia tasca, a un certo punto, per alterne coincidenze. Il primo fu la Maria Stuarda, ma qualcos'altro deve avermi inseguito per anni, certe pagine, certe cose che ben non ricordo. Sarà paradossale che, all'ombra di quest'oblio, oggi la mia libraia di fiducia mi abbia suggerito, con profetico intuito, Mendel dei libri, un raccontino brevissimo edito da Adelphi (nella collezione della Biblioteca Minima).
Un anonimo io narrante si trova a Vienna, nel vecchio caffè Gluck, e via via lo spazio prende ad arredarsi della memoria: al centro di questa memoria c'è lui, l'impassibile Mendel dei libri, l'uomo che nulla aveva letto davvero, fuorché i cataloghi, tutti i cataloghi del mondo, con le edizioni, i prezzi e le caratteristiche di ogni libro. L'uomo affondato, dal mattino alla sera, nel suo repertorio infinito del mondo sotto forma di libro, un'interferenza esistenziale tra il Kien dell'Auto da fé di Canetti e il prodigioso Funes di Borges, ha l'ingenuità di ingoiare la vita senza masticarla, senza sentire il sapore amaro del tempo. Mantiene relazioni più o meno importanti, sempre sulla traccia di libri, di volumi, di voci bibliografiche, incosciente della guerra e della sua capacità di cancellare tutte quelle voci. Lui, l'anima del caffè Gluck, non sa che intorno è scoppiata la guerra e che è cambiata la luce che gli consentiva di leggere dai suoi cataloghi.
Vissuto nella vita altrui attraverso il binomio memoria/follia, Mendel dei libri si perde per una folle accusa durante la guerra, che disperde in un penitenziario qualunque la memoria dell'Europa. Storia di un patrimonio disperso nell'uomo, Mendel dei libri è un libro di un umanesimo tipicamente mitteleuropeo: grandioso, commovente, coltissimo. Stefan Zweig, scrittore originalissimo, nei limiti in cui un'area culturale così marcata lo consentiva, ci regala nel 1929, l'anno della crisi americana, questo piccolo apologo, un atto d'amore nei confronti del senso della vita e della memoria, ricordandoci che questa non è mai insensata. Anche agli occhi di chi non vi legge dentro.

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