Gli hanno prontamente risposto, in coro, il Premier Renzi ed il Ministro del Lavoro Poletti: non si preoccupi, signor Ministro, tanto, con la seconda parte del Jobs Act, lo Statuto dei Lavoratori sparirà per sempre e vivremo tutti (?) felici e contenti.
Bersaglio inutile: ormai, dello Statuto dei lavoratori resta ben poco, a parte il nome, svuotato prima dalla Fornero e poi da Poletti. Anni di lotta per diritti e salari, cancellati da riforme del lavoro che – paradossalmente, ma neanche tanto – non hanno creato lavoro, ma solo scaricato i costi della crisi sui lavoratori.
E' interessante, comunque, l'affermazione di Renzi e Poletti, che parlano, finalmente, della tanto attesa seconda parte del Jobs Act, messa nel dimenticatoio per far spazio a riforme strampalate e pericolose (legge elettorale e riforma costituzionale), quasi non ci fosse fretta, mentre il Paese affonda ed il precariato distrugge il mondo del lavoro.
Infatti, l'Ocse che, in settimana, ha diramato il l'Employment Outlook 2014, ovvero il rapporto con cui analizza il mercato del lavoro europeo, ci dimostra chiaramente che i contratti atipici sono pura macelleria sociale: il 70% dei nuovi contratti di lavoro stipulati, in Italia, sono a tempo determinato e di questi, solo il 20% ha la possibilità di trasformarsi in tempo indeterminato, mentre per gli altri (specie per le donne) si continuerà a passare da un contratto all'altro, senza nessuna possibilità di stabilizzazione.
Eppure è proprio di sicurezza e di stabilità che il mercato del lavoro ha bisogno. Siamo ufficialmente in deflazione, la disoccupazione vola a +12,6% ed il decreto Salva-Italia, il piano del Governo per rilanciare l'economia, continua a sfaldarsi e ad essere rinviato, causa mancanza di fondi. Le aziende non assumono, i lavoratori non spendono, gli investitori stranieri si tengono alla larga dal nostro Paese, salvo solo per saccheggiarne i gioielli.
Per questo l'Ocse esorta Renzi & C. ad intervenire quanto prima: la seconda parte del Jobs Act, infatti, è quella che, per sua natura, dovrebbe mitigare gli effetti perversi del precariato, come retribuzioni inadeguate (siamo al 16mo posto, nella classifica europea dei salari), incertezza per il futuro, incongruenza nel percorso scuola-lavoro (il 70% dei giovani svolge un lavoro che non ha nessuna attinenza con il suo percorso formativo).
Bisogna spazzare via il clima di insicurezza che mina il mercato del lavoro e l'economia nazionale, con costi sociali elevatissimi: con gli stipendi ridotti all'osso e oppressi da instabilità e tasse, i precari sono costretti a ricorrere all'aiuto della famiglia, costretti all'incapacità di rendersi indipendenti.
Tuttavia, non basterà certo l'ennesima riforma del lavoro a cambiare le cose, soprattutto se non tiene conto di una verità fondamentale: il precariato è parte del problema, non la soluzione. Per questo le leggi Treu, Biagi, Fornero e l'attuale Poletti hanno clamorosamente fallito, anzi alimentando il disordine nel mondo del lavoro italiano, che non ha fatto altro che perdere pezzi: diritti, salari, posti di lavoro, aziende, lavoratori qualificati fuggiti all'estero.
Purtroppo, le premesse non sono delle migliori: il Premier si lancia in proclami sensazionali, cui, però, hanno fatto seguito ben pochi fatti. La svolta digitale non ha fondi nè progetti; l'effetto 80 – miseri – euro, per far ripartire l'economia, è stato annullato dagli aumenti delle tasse; la riforma della scuola, con annessa assunzione di migliaia di docenti, è stata proclamata, poi bloccata e poi di nuovo rilanciata.
Forse, il rottamatore avrebbe bisogno di capire che, per rimettere l'Italia in carreggiata, servono meno chiacchiere, più fatti.
Danilo