Naturalmente parliamo di Silvio il puttaniere, il cornaio, il baciamaniere, il giustiziofobico, il cazzo buffo più amato e odiato dagli italiani, l’uomo che ci rendeva ridicoli per tutto l’orbe terraqueo. Perché il politico, quello che ha a lungo lavorato per marginalizzare i sindacati, per introdurre il precariato, per disegnare l’ipotesi e la prassi di un autoritarismo “moderno”, quello che ha fatto del conflitto di interesse un mainstream istituzionale, ah quello è sempre andato benissimo. Pappa e ciccia con i “moderni” di ogni schieramento, specie se molto avanti con l’età. Alle volte immagino la sofferenza di certi politici che non vedevano l’ora di massacrare la scuola e l’università, di portare al macello il mondo del lavoro, la sua dignità e le sue tutele, di escludere i movimenti e la partecipazione da loro miserabile olimpo, di mettere al posto loro magistrati e investigatori, di svendere i beni pubblici, ma non potevano dirlo apertamente perché la stessa farina veniva dai mulini di Silvio, dalla Gelmini, da Sacconi, da Tremonti, da Maroni, da Romani e compagnia cantante. Una vera alienazione che si è finalmente conclusa con l’ascesa del governo tecnico e la possibilità di fare tutte queste cose rimanendo antiberlusconiani. Una liberazione che a volte prende forma di lettere.
Certo c’è stato qualche contraccolpo, la credibilità di una vasta parte dello schieramento politico è ormai quella del tunnel dei neutrini, l’orizzonte elettorale è diventato fosco, l’antipolitica rischia di prendere il posto della non politica. Ma l’annuncio del Cav ha rincuorato tutti: ricompare il nemico e c’è caso che qualcuno pur di non avere di nuovo lui, decida di essere vittima del fuoco amico. Si possono di nuovo tirare fuori le ghirlande di aglio, le croci e i paletti di frassino: ma adesso lo sappiamo, sono gadget forniti dall’ufficio turistico della Transilvania.