Questo articolo spiega chiaramente come, negli ultimi tre mesi, le dichiarazioni del Governo Letta, Ministro Saccomanni in testa, circa la possibilità di diminuire le tasse siano infondate. Promesse non mantenute.
-La diminuzione degli interessi sul debito pubblico (spread, la differenza con quelli tedeschi) e i risultati della lotta alla evasione fiscale, saranno, se mai si verificheranno, utilizzati per coprire altre spese dello Stato, la spesa pubblica aumenterà ancora.
-Nulla sarà lasciato in tasca al cittadino e ai lavoratori in termini di diminuzione delle tasse sul lavoro. Cuneo fiscale invariato quindi.
-I consumi non ripartiranno e l’economia continuerà a peggiorare con chiusura di fabbriche e conseguente disoccupazione.
Non crediamo alle promesse del Governo. Monitoreremo il suo operato, perché esso prima rilascia dichiarazioni ai media, ma poi spesso cambia le carte in tavola e non fa nulla per rilanciare l’economia.
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Lo spread, cioè la differenza tra i rendimenti sui titoli di stato italiani e gli omologhi tedeschi, si è ridotto ancora nei primi giorni del 2014.
Siamo a quota 200 punti base, lontani dai 571 punti raggiunti nel novembre del 2011. Il costo del nostro debito pubblico comincerà forse a diminuire un po’, e questa è una buona notizia, anche se occorre notare che lo spread si riduce anche per l’aumento del Bund tedesco (e quindi senza sollievo automatico per le nostre finanze pubbliche).
Non solo: quanto a lungo durerà questa situazione, e in quanti risparmi per lo Stato italiano si tradurrà, sono un altro paio di maniche. Perciò non giovano al dibattito pubblico le strumentalizzazioni di questo dato, specie se le strumentalizzazioni vengono dal Governo. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta,intervistato dal Tg1 venerdì sera, ha subito commentato: “E’ una grande notizia”. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si è spinto oltre, prospettando addirittura una diminuzione delle tasse grazie al restringimento dello spread: “Di particolare rilievo è il dato sui rendimenti (sui titoli decennali italiani, ndr),sotto il 4%. Questo si tradurrà in una minore spesa per interessi sul debito pubblico e nella possibilità di avere a disposizione più risorse per investimenti e per alleggerire il carico fiscale”.
Ed ecco che sui giornali si torna a parlare di “tesoretto” nelle mani del Governo, e di possibile riduzione del “cuneo fiscale” che grava su lavoratori e imprese.
Diffidare però è legittimo, per almeno due ragioni. Primo: già nell’ultimo Documento di Economia e Finanza (settembre 2013), il governo stimava un abbassamento dello spread a questi livelli per l’anno appena iniziato; ma stimava pure una crescita, per il 2014, di 1,1 punti percentuali, più alta cioè di quella prevista da tutte le altre istituzioni internazionali. Se la crescita l’anno prossimo fosse minore di quella stimata, dunque,ecco che il risparmio teorico sarebbe cancellato dal minor gettito fiscale incassato.
LA PARABOLA DEL CUNEO FISCALE
Inoltre, chi è pronto a giurare che il Governo Letta, se avesse qualche risorsa aggiuntiva a disposizione, la impiegherebbe tutta per abbassare le tasse ai cittadini?
Finora non è andata così, come dimostra la vicenda del “cuneo fiscale” (cioè la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso lavoratore incassa al netto nella busta paga).
Questa storia inizia il 6 settembre del 2013, quando, dal vertice G20 di San Pietroburgo, il presidente del Consiglio fa il primo annuncio pubblico, alla vigilia della presentazione della Legge di Stabilità (l’ex Finanziaria): “L’ho detto formalmente nella discussione di ieri e l’ho riconfermato anche stamani: considero che per il nostro Paese ci sono tante cose che aiutano l’occupazione e molte le vogliamo mettere in campo,ma la principale è abbattere il cuneo fiscale e cioè rendere il lavoro più conveniente in particolare quello a tempo indeterminato”. Da allora è stato un continuo rilanciare: “Il cuore di tutto sarà la riduzione delle tasse sul lavoro” e del “cuneo fiscale”, in particolare “la riduzione delle tasse per dare finalmente sollievo ai lavoratori” e per rendere più pesante la busta paga, disse Letta in Parlamento all’inizio di ottobre. Seguirono interviste dei vari ministri a tutti i giornali nazionali,poi le richieste delle parti sociali (Confindustria chiedeva uno sgravio complessivo di 10 miliardi sul cuneo fiscale per il 2014), e infine anche le “veline” sui presunti progetti governativi: si parlava, allora, di 5 miliardi di tasse in meno.
A metà ottobre, il Consiglio dei ministri vara la Legge di stabilità che poi sarà Parlamento ad approvare in via definitiva. Sorpresa: dei 10 miliardi di minori tasse richieste dagli industriali non c’è traccia, né dei 5 miliardi fatti trapelare dal Governo.
Per il 2014 il taglio del cuneo fiscale è di 2,5 miliardi di euro (“10 miliardi in tre anni”, preferisce annunciare l’esecutivo). Cosa voglia dire in concreto lo ha spiegato l’Istat: “Il taglio medio del cuneo fiscale, grazie all’aumento delle detrazioni Irpef sui redditi da lavoro dipendente, sarà sulle buste paga meno di 10 euro al mese”. Ancora più pessimista la stima della Banca d’Italia, che precisa come questi piccoli vantaggi siano concentrati solo su alcune fasce di reddito: “Per un lavoratore senza familiari a carico, il risparmio massimo di imposta è di 182 euro l’anno in corrispondenza di un reddito annuo di circa 15.000 euro. Nel caso di una retribuzione lorda pari a quella media di contabilità nazionale (circa 29.000 euro), nel 2014 si determina un risparmio di poco meno di 100 euro”.
Il governo viene coperto di critiche, dai sindacati come dai giornali (anche quelli considerati “amici”). Tanta attesa sulla riduzione del cuneo fiscale, e poi invece ecco una piccola mancia che certo non rilancerà i consumi. A fine novembre Letta rilancia però la sua offensiva mediatica, rispondendo a un appello delle parti sociali pubblicato sul Sole 24 Ore, il giornale della Confindustria, e promette un’altra riduzione delle tasse su imprenditori e lavoratori: “Il Governo è pronto a inserire nella legge di stabilità la norma che vincola alla riduzione delle tasse sulle imprese e sul lavoro le risorse recuperate attraverso la spending review e il contrasto dell’evasione fiscale”. Per giorni, stampa e televisioni sono impegnati a discutere sul cosiddetto “Fondo taglia tasse”, quasi lasciando intendere che sia una misura già attiva e di cui presto tutti potremo beneficiare. Falso. Tuttavia, dicono i più filogovernativi, anche il Parlamento si muove in questo senso: il 17 dicembre,infatti, siamo ancora al punto in cui la Commissione Bilancio della Camera approva un emendamento alla Legge di stabilità che istituisce il fondo per la riduzione (futura) della pressione fiscale. Altri titoli giubilanti sui principali telegiornali.
Il giorno dopo, però, si scopre che il Fondo taglia tasse non solo è per il momento vuoto, ma pare destinato a rimanere tale. O quasi. Infatti l’uso delle risorse del fondo sarà possibile solo fermo restando “il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica”; come dire che in caso di improvvisi buchi di bilancio che impedissero di chiudere il deficit, i soldi del fondo saranno utilizzati come toppa d’emergenza.
Inoltre è vero che da quest’anno potranno confluire nel fondo i risparmi ottenuti con la revisione della spesa pubblica (spending review), ma soltanto al netto della quota di spending già considerata nella Legge di stabilità e delle “risorse da destinare a programmi finalizzati al conseguimento di esigenze prioritarie di equità sociale e ad impegni inderogabili”.
Quanto alle risorse provenienti dalla lotta all’evasione, infine, entreranno nel fondo soltanto quelle aggiuntive rispetto alle stime annuali del Governo, ed escludendo sempre e comunque quelle derivanti dall’attività di recupero fiscale svolta da regioni, province e comuni.
Tanti, tantissimi paletti e distinguo dunque, con cui difficilmente si riempirà il cosiddetto “Fondo anti tasse”.
A oltre tre mesi di distanza dal primo annuncio di Letta sul “cuneo fiscale”, in definitiva, si scopre che imprenditori e lavoratori vengono soltanto dopo la necessità del governo di aumentare la spesa pubblica e gli sprechi. Come al solito. C’è da fidarsi ancora?