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Mentre esultiamo per il decaduto, il governo riforma Bankitalia e il Paese è allo stremo

Creato il 28 novembre 2013 da Exnovomen

<> on February 13, 2011 in Milan, Italy. on February 13, 2011 in Milan, Italy." class="alignnone size-full wp-image-1470" />Nella caciara generale, Saccomanni ha “regalato” 4 miliardi alle big del credito. La notizia passa in sordina.  Così – mentre siam tutti distratti dall’esca prelibata – il programma di liquidazione va a gonfie vele. La nuova tessera del puzzle si chiama “rivalutazione delle quote delle banche in Banca d’Italia”.

Partiamo dalla cronaca. Come ha affermato il premier Letta, la seconda rata Imu non si dovrà più pagare. La soluzione è stata dunque trovata. Già, ma da dove prenderanno i soldi? La risposta è prontissima: dalle banche. Evvai, gridano i grillini: “finalmente pagano anche loro”. Però come prenderete i soldi alle banche? Aumentando l’acconto Ires e Irap al 130% per istituti finanziari e assicurazioni. Tradotto: preparatevi a dover pagare maggiori concessioni bancarie e tassi assicurativi. Ma il bello deve ancora venire.

Sempre ieri, a margine delle conferenza stampa, il ministro dell’Economia Saccomanni ha presentato il decreto legge sulla riforma di Bankitalia (ovvero Banca d’Italia S.p.A, capitolo secondo). “Come reso pubblico nei giorni scorsi, il decreto rivaluterà le quote di capitale di Bankitalia. La misura servirà essenzialmente a migliorare la patrimonializzazione delle banche”, sottolinea il ministro.

Detto questo, cosa succede concretamente? Banca d’Italia è una società per azioni di diritto pubblico (è un ente privato ma le sue partecipazioni sono rese note, da qui “pubblico”) formata da 35 banche italiane e 2 enti statali, INPS e INAIL. Ogni partecipante al consiglio di amministrazione detiene in quote diverse una parte della banca. Esempi? Intesa San Paolo ha il 42,4%, Unicredit il 22,1%, Cassa di Risparmio di Bologna il 6,3%. Con il decreto Saccomanni le quote di Bankitalia in mano a ciascun gruppo azionario saranno lautamente rivalutate (non accadeva dal 1936). Così facendo, la banca centrale italiana raggiungerà un valore tra i 5 e i 7,5 miliardi. Inoltre l’ente diventerà una public company, pertanto una società senza azionista di maggioranza. Nel nostro caso, i componenti del CdA potranno detenere quote soltanto fino al 5%. E chi oggi ne ha di più? Per esempio Intesa e Unicredit? Dovranno vendere le quote eccedenti fino a possedere il 5%. Quindi Intesa San Paolo venderà il 37% delle sue partecipazioni in Bankitalia. Dalla vendita successiva alla rivalutazione, le grandi banche guadagneranno circa 4 miliardi di euro. Soltanto Intesa ne otterrà un miliardo e mezzo. E chi oggi ha meno del 5%? Pagherà in prima persona. In virtù dell’operazione infatti, istituti come Banca Carige dovranno svalutare le proprie azioni per 200/300 milioni. Ergo: perde chi ha meno.  

In ogni caso chi paga la rivalutazione alle big? La stessa Bankitalia. Come? Attraverso la riserva statutaria. In altri termini: il governo rivaluta e concede alle banche la possibilità di farsi un regalo. Bankitalia compra le quote in eccesso attraverso gli utili accumulati e le gira elettronicamente alle banche che si vedono allargare il portafoglio. Ma non solo. Perché il decreto legge prevede che le quote libere (vendute a causa del limite 5%) siano messe all’asta a enti nazionali e stranieri. “Aumenteremo il novero dei soggetti italiani ed europei che possono detenere quote del capitale”, prosegue Saccomanni. I soggetti autorizzati saranno: banche, fondazioni, assicurazioni, enti ed istituti di previdenza. Quindi i soldi per la rivalutazione arriveranno anche da società, estere se possibile, che entreranno per la prima volta nel piano nobile di Palazzo Koch. Il decreto Saccomanni deve essere inteso nell’ambito della stabilizzazione degli enti di credito. Processo voluto da Draghi in base alla prossima unione bancaria europea. Le banche piccole saranno destinate alla chiusura o all’accorpamento nei colossi finanziari. Le grandi dai portafogli ossigenati si uniranno invece in un’unica grande realtà. Una BCE rinforzata, attorno alla quale edificare un’improbabile – seppur irreversibile – unione politica.

In ogni caso, la previsione del futuro non è delle più rosee. Superato lo scoglio della legge di stabilità, l’esecutivo delle intese dimezzate dovrà vedersela con il piano effettivo delle privatizzazioni. L’incontro commerciale con zar Putin dev’essere letto in questo senso. Ci stanno vendendo e continueranno a farlo con più trasporto nei prossimi mesi. Il piano di Letta prevede cessioni dal 40 al 60% delle quote pubbliche in imprese come: Fincantieri, Enav, Sace, Grandi Stazioni (l’ipotesi è di venderla alla società Eurostazioni della cordata Pirelli, Benetton, Caltagirone) e la maggior parte delle municipalizzate dei trasporti e servizi in genere. 

Per ora attendiamo i risultati delle politiche pseudo-liberiste. Nel frattempo il 9 dicembre una fetta importante del Paese scenderà nelle piazze e nelle autostrade per “bloccare l’Italia”. Aderiranno alla manifestazione: le associazioni dei camionisti, allevatori, piccole e medie imprese venete, Life (imprenditori federalisti), il sito Noncensura.it, i Cobas latte e i Forconi siciliani. La piazza è quasi allo stremo. La misura, purtroppo, è colma da tempo.

Fassino Paolo


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