Anche tra coloro che di arte contemporanea si occupano per mestiere, tra i galleristi, i curatori, persino in ambito strettamente accademico, nonché tra i critici militanti, si susseguono e sovrappongono molteplici querelles, volte a censurare e condannare, piuttosto che a difendere e parafrasare, le differenti e numerose formule espressive adottate dagli artisti, soprattutto il concettualismo e l’intellettualismo che da svariati anni tende ad essere la cifra esasperata di talune scelte linguistiche e stilistiche.
Impossibile occuparsi in poche righe delle cospicue questioni che affollano il dibattito . L’auspicio è invece quello di poterne sviscerare alcune nel tempo, cercando di volta in volta di essere in grado di rappresentare per il lettore un – seppur modesto – supporto orientativo e chiarificatore, una sorta di “filo di Arianna” che accompagni a dipanare le renitenze e le diffidenze che troppo sovente si affollano nella mente di coloro che il labirinto della contemporaneità artistica lo osservano dall’esterno, talora con lo sprezzante atteggiamento di chi, non conoscendo, mantiene snobistiche distanze.
Vorremmo soprattutto poter chiarire, nell’analizzare di volta in volta snodi critici del cammino dell’arte lungo il XX secolo, perché valga la pena, sempre e comunque, di collezionare opere, soprattutto contemporanee. Come orientarsi nell’attuale pluralità di proposte che qualifica non solo e non tanto la ricerca, quanto e soprattutto il mercato? Esistono dei criteri che possano indirizzare il collezionismo?
Cercheremo di mostrare come con poche migliaia di Euro sia possibile acquistare artisti, soprattutto italiani, che hanno scritto pagine importanti della storia dell’arte del Novecento. Cosa questo significhi, mi piacerebbe possa essere proprio argomento di alcuni dei nostri futuri “incontri”, in cui cercherò di portare alla luce esempi e storie paradigmatici.
In un’epoca di forte contrazione economica, quale quella attuale, in cui poche forme di investimento sono in grado di garantire sicuri – tanto meno cospicui – rendimenti, un “investimento” in arte, oltre a regalarci l’ opportunità di acquistare un’emozione che rimarrà per sempre con noi, pronta ad assumere sempre cangianti connotazioni e vibrazioni, garantisce, almeno nel medio-lungo periodo, che il proprio denaro non si polverizzi. Questo lo dimostreremo con alcuni aneddoti, che non siano esclusivamente quelli emblematici di cui accennavamo poco fa.
E’ infatti di pubblico dominio come soprattutto nell’ultimo lustro l’arte sia stata, correttamente, definita “bene rifugio”, confermando sempre più quanto costituisca un’ ottima strategia la diversificazione dei propri investimenti. Ma, ripeto, la sfida sarà dimostrare in che modo questo possa accadere anche non avendo ingenti patrimoni da impegnare.
Desidereremmo inoltre spiegare come sia possibile ponderare un acquisto pur non seguendo come esclusivo criterio selettivo quello del solo investimento.
Una grossa discriminante, infatti, è espressa dalla ragione per la quale si inizia una collezione d’arte. Se lo si fa al solo fine di mettere al riparo i propri risparmi, le regole saranno probabilmente differenti rispetto a quelle di un collezionismo “puro”. Ma in genere chi si accosta all’arte lo fa spinto – in primis – da un interesse che presto diviene passione, che quindi cresce, si alimenta nel tempo. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che l’arte è un fatto creativo, estetico, comunicativo. Deve arrivare, emozionare, parlare al fruitore. Il criterio del gusto personale, di ciò che colpisce i nostri sensi e solletica le nostre emozioni, entrando in consonanza con le nostre più profonde vibrazioni non va, a nostro parere, dimenticato. Caso mai il gusto va educato, supportato dalla conoscenza, instradato. Ecco, cercare di fare in modo di ipotizzare un “vademecum” che sia di ausilio ai nostri lettori, magari i meno esperti, nel creare una collezione interessante ed organica, anziché un semplice gruppo di opere che poco abbiano in comune e che rischino di rivelarsi solo scelte emotive e non oculati acquisti, è quanto ci animerà nel procedere di questa rubrica.
Cristina Palmieri
La storia dell’arte degli ultimi centocinquanta anni ci ha insegnato che, col variare del tempo, del gusto, delle culture le forme artistiche sono profondamente mutate. Il cambiamento, in questo arco di tempo, non è stato solo estetico, ma filosofico, sociologico. Si è passati da “modalità espressive” definite, quali la pittura o la scultura, la grafica, a indefinite e molteplici possibilità di scelte linguistiche, conseguentemente anche di fruizione.
Questi cambiamenti hanno sovvertito non poco l’idea medesima di opera d’arte.
La cosa che lascia molti perplessi è come si possa dare un reale valore a tante delle proposte che vediamo presenti nelle mostre, nelle aste, nelle fiere.
Il nostro desiderio è quello di tentare di offrire una risposta almeno a parte dei dubbi e degli interrogativi che i più si pongono quando si accostano a questo variegato mondo, certo talvolta disorientante, dissacrante, ma sempre e comunque affascinante, perché in fondo l’arte non è morta, non morirà, ma procederà nel proprio tentativo di rappresentare e raccontare il proprio tempo, per lo più precorrendolo, nel gusto, nei concetti, nella sua capacità di stimolare riflessioni e suscitare emozioni, fossero anche ex negativo.
CRISTINA PALMIERI
per informazioni e domande: cristina.palm@libero.it
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MAE Milano Arte Expo -milanoartexpo@gmail.com- ringrazia Cristina Palmieri per l’apertura della rubrica Il filo di Arianna dedicato al valore delle opere e al mercato dell’arte contemporanea.
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