Mercato e Sharia: economia e finanza islamica

Creato il 15 marzo 2016 da Bloglobal @bloglobal_opi

Negli ultimi decenni l'analisi delle dinamiche interne ai Paesi islamici, dei loro rapporti con il mondo occidentale e degli elementi di frizione che caratterizzano tali relazioni si è concentrata prevalentemente sui fattori di tipo politico e religioso, trascurando la dimensione economica. In conseguenza della crisi e della conseguente recessione che ha interessato l'economia globale negli ultimi anni, si è tuttavia manifestato un crescente interesse per il modello economico-finanziario di stampo islamico, talvolta citato quale esempio di maggiore stabilità, solidità e responsabilità sociale. Malgrado si tratti di tematiche poco conosciute al di fuori di un' audience specializzata nel settore, l'economia e la finanza islamica rappresentano una realtà di importanti proporzioni nel panorama globale. Il tasso di crescita attuale del fenomeno della finanza islamica è stimato intorno al 10-15% all'anno e le banche islamiche operative sono circa 500 in 75 Paesi. La consapevolezza delle numerose opportunità offerte da questo tipo di mercato anche ad operatori provenienti da modelli economico-culturali differenti si è riflessa nel moltiplicarsi di settori, prodotti e soluzioni halal (ciò che è consentito), in linea con i dettami islamici. A livello generale, i sistemi economici occidentali e quelli dei Paesi a religione musulmana si basano su paradigmi essenzialmente diversi; la finanza islamica si fonda su principi etico-religiosi, mentre la finanza occidentale è sostanzialmente laica e affidata al libero mercato. L'analisi che segue si propone di delineare un quadro introduttivo del fenomeno e delle sue principali caratteristiche e trend evolutivi.

Le norme religiose come base per i comportamenti economici - La comprensione delle peculiarità della finanza islamica richiede un'attenzione costante alla componente religiosa, presupponendo una conoscenza dei riferimenti religiosi dell'Islam, della sua storia e delle sue fonti. Nell'ambito delle tre religioni monoteiste, l'Islam si distingue per una profonda connessione tra la dimensione teologico-morale e quella normativa, che si riflette in campo sociale, politico ed economico. Nell'Islam delle origini politica e religione sono strettamente legate. Il Profeta Maometto é nel medesimo tempo capo religioso e capo politico della umma, la comunità dei credenti. L'Islam è una "religione della Legge", in cui é implicita la propensione a tradurre in ordinamenti politici e giuridici il messaggio di salvezza trasmesso al Profeta e raccolto nel Corano [1].I precetti della Sharia, la legge islamica, non si limitano a disciplinare la sola sfera privata del rapporto intimo tra uomo e Dio, ma indicano i principi di condotta in ogni settore della vita pubblica della umma, estendendo perciò la loro validità anche alle attività economiche, sociali e giuridiche. In linea generale l'insieme delle mansioni e transazioni economico-finanziarie del mondo islamico è dunque direttamente influenzato dalle fonti giuridiche dell'Islam: il Corano, la Sunna (gli atti e i detti del Profeta Maometto, così come sono stati tramandati negli hadith), l' ijma (il consenso dei dotti) e il qiyas (l'analogia giuridica).

Il Corano è suddiviso in 114 sure (capitoli) contenenti una serie di prescrizioni, indicazioni e canoni che devono essere rispettati e applicati da ogni fedele nella vita privata e sociale. La rivelazione dei contenuti del Libro sacro è stata trasmessa a Maometto direttamente da Allah in due periodi principali, che sanciscono una divisione tra "sure meccane" (610-622 d.C., dalla data in cui Maometto ricevette l'annuncio della sua missione alla data dell' egira, l'emigrazione a Medina) e "sure medinesi" (622-632 d.C., dalla data dell' egira alla morte del Profeta). Le sure meccane hanno un contenuto maggiormente teologico-morale, mentre quelle medinesi sono di tenore più normativo, di diritto positivo (penale e civile), contenendo riferimenti e istruzioni su questioni coinvolgenti direttamente la vita quotidiana dell' umma. Le sure medinesi affrontano i principi essenziali dell'economia islamica: nella II sura vi sono versetti dedicati al pagamento dell'elemosina ( zakah, uno dei cinque pilastri dell'Islam) (II:43) e al trattamento dei debiti (II: 280-286); nella III sura si trova il divieto dell'ingiustificato arricchimento tramite il prestito a interesse ( ribā) (III:130); nella IV sura vi sono indicazioni sulla successione (IV:11).

Il Corano fornisce delle enunciazioni generali, non disciplinando in dettaglio i precetti religiosi né le prescrizioni giuridiche, e necessita dunque di trovare completamento nelle altre fonti giuridiche, soprattutto la Sunna che racchiude l'insieme delle consuetudini, dei detti e dei fatti del Profeta che sono da esempio per la vita di ogni musulmano. Tali episodi sono riportati negli hadith (narrazione) in cui il testo del racconto ( matn) è preceduto da una lista di nomi, isnad (sostegno), che elenca i nomi di tutti quelli che si sono tramandati i fatti nel corso del tempo a garanzia della validità degli hadith e dei relativi principi. Sulle altre due fonti giuridiche minori, ijma (che si basa sul detto attribuito a Maometto " la mia comunita non concordera mai su un errore") e qiyas, vi sono delle differenze di vedute tra le diverse scuole giuridiche islamiche. Il diritto islamico non è unitario e nell'elaborazione del diritto positivo su base shiariatica ( fiqh) svolgono un ruolo centrale le varie scuole giuridiche, a cui i singoli Stati si ispirano nell'ambito del proprio ordinamento interno. Le quattro scuole di osservanza sunnita principali sono la scuola hanafita, diffusa in Turchia, India e Pakistan, la malikita, in Maghreb, la shiafiita, in Indonesia, Egitto e Africa orientale, e la hanbalita in Arabia Saudita e nel Golfo, la più tradizionalista e rigorosa. [2] Nel 1981 l'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI)ha stabilito la creazione a Jeddah, in Arabia Saudita, dell'Islamic Fiqh Academy, un'importante autorità nell'interpretazione del Corano e della Sunna.

I fondamenti principali - I principi islamici stabiliscono una cesura tra ciò che è consentito ( halal) e ciò che è vietato ( haram), proibendo qualsiasi mansione che comporti il pagamento di interessi come l'attività bancaria convenzionale; l'assicurazione e la riassicurazione convenzionale; la produzione e la vendita di bevande alcoliche; l'allevamento, la lavorazione e la vendita di carne di maiale; le armi, il tabacco, i casinò, i night club, la pornografia. Inoltre è imprescindibile il legame fra transazioni finanziarie e attività economica reale. L'essenza dell'economia e finanza islamica risiede in alcuni concetti di base su cui poggia l'architettura dell'intero sistema:

  • Divieto del tasso d'interesse (ribah): il termine arabo letteralmente significa "incremento", "eccesso", "crescita". Il Corano contiene un'esplicita condanna del ribah, pur non fornendo spiegazioni dettagliate. Inizialmente è stato interpretato come proibizione dell'usura, tema peraltro condiviso anche dalle altre religioni monoteiste, per poi includere il divieto di qualsiasi forma di interesse. Ciò si basa sul principio della condivisione del rischio e del rendimento (profit and loss sharing), per cui non è accettabile un tasso di rendimento che venga garantito a prescindere dall'andamento dell'attività della transazione. Non vi può quindi essere alcun guadagno senza l'assunzione di un rischio. La proibizione del ribah è assoluta. [3]
  • Divieto dell'incertezza (gharar): transazioni o contratti devono essere liberi da forme di incertezza. Quest'ultima può essere intrinseca all'oggetto del contratto o riflettersi in condizioni di informazione incompleta (sul prezzo, sull'oggetto della vendita). Il gharar è vietato solo se influisce negativamente sul linguaggio contrattuale, causando incertezza e difficolta di esecuzione. Estendendo il concetto di eccessiva incertezza, la Sharia vieta la scommessa (qimar).
  • Divieto della speculazione (maysir): il riferimento è al tentativo di scommettere sul risultato futuro di un evento. In teoria, se questo tipo di attività è sostenuto da un'adeguata informazione e analisi non è in contrasto con la Sharia.

Una componente di redistribuzione della ricchezza è alla base del pagamento della zakat, letteralmente "purificazione", "crescita", che ha costituito per lungo tempo l'unica imposta dovuta dai musulmani all'interno dei Paesi islamici. Questo tipo di tributo, che si configura come un dovere morale, corrisponde a un pagamento dovuto sul surplus di ricchezza e di utili prodotti da un credente (persona fisica o giuridica) nell'anno islamico ( hijri) ed è calcolato sul 2,5% dell'incremento della ricchezza. Il Corano auspica anche l'elemosina volontaria ( sadaqa).

Per il fedele musulmano il valore sottostante all'elargizione della zakat è la purificazione della ricchezza posseduta e del proprio cuore dall'egoismo e dall'amore per essa. In alcuni Paesi islamici lo strumento della zakat rappresenta ancora oggi una leva di politica economica per raggiungere obiettivi di welfare. In alcuni Stati è imposta per legge, in altri non è obbligatoria ed è riscossa tramite agenzie "semi-governative", in altri casi è volontaria e viene corrisposta attraverso gli sportelli delle banche islamiche, fondazioni pie o istituzioni caritatevoli.

In termini di teoria economica, è possibile affermare che l'economia islamica si distanzia da alcuni parametri tipici elaborati dai sistemi capitalistici occidentali: la funzione di utilità del consumatore, che orienta le scelte di consumo e risparmio, include infatti alcune componenti che divergono dal modello classico. Il buon musulmano deve occuparsi del benessere dei suoi fratelli oltre che del proprio; il suo desiderio di risparmio non deve essere motivato solo dalle aspettative di maggiori ritorni per ottenere un reddito futuro superiore, ma anche da altre finalità, come ad esempio assicurarsi una vecchiaia tranquilla; i suoi comportamenti economici devono considerare anche la prospettiva dell'aldilà, conformandosi quindi ai precetti di Allah.

Nascita e sviluppo della moderna finanza islamica - Alcuni studiosi sostengono che le origini politiche, ideologiche e culturali della moderna economia e finanza islamica si siano delineate nell'India britannica degli anni Quaranta, in un periodo in cui i musulmani della regione aspiravano alla creazione di uno Stato indipendente da quello indiano a egemonia indù (nel 1947 dalla partizione del subcontinente indiano in due entità verrà infatti creato il Pakistan). Leader e teologi del calibro del pachistano Abul Ala al-Mawdudi rivendicavano soprattutto la riconquista di un'identità culturale e antropologica islamica, per cui sono state progressivamente coniate le espressioni "politica islamica", "costituzione islamica", "economia islamica", ecc.

Il primo esperimento concreto di istituto finanziario islamico si registrò nel 1963 in Egitto con la Cassa Rurale di Risparmio di Mit Ghamr, piccolo villaggio nel delta del Nilo, fondata da Ahmad al-Najjar sul modello delle banche cooperative europee e considerata un plausibile riferimento per l'esperienza di micro-credito della Grameen Bank, avviata dall'economista e Premio Nobel per la Pace 2006 Muhammad Yunus in Bangladesh. Per assicurare il rispetto dei principi islamici nell'attività della banca, al-Najjar istituì un "consiglio di supervisione religioso" (Sharia Board) costituito da religiosi con l'obiettivo di garantire che l'istituto si conformasse alla legge islamica e investisse solo in attività halal. La Cassa Rurale di Risparmio fu chiusa dal Presidente Gamal Abdel Nasser nel 1968, poiché ritenuta un potenziale nemico politico, ma il nuovo Capo di Stato Anwar al-Sadat fondò nel 1971 la Banca Sociale Nasser, che impiegava le stesse modalità di credito teorizzate da al-Najjar.

In seguito alla nascita dell'istituto di Mit Ghamr si è assistito a una relativa battuta d'arresto dell'espansione delle istituzioni economico-finanziare islamiche fino al 1975, quando su impulso dei Ministri delle Finanze di alcuni Paesi arabi riuniti nell'OCI è stata creata l'Islamic Development Bank (IDB), con sede a Jeddah, in Arabia Saudita, e avente come scopo la promozione del benessere sociale ed economico di tutte le comunità musulmane. Nel 1975 è nata anche la prima banca islamica privata, la Banca Islamica di Dubai, e in seguito sono state create la Banca Islamica di Faisal del Sudan, la Banca Islamica di Faisal dell'Egitto, la Banca Islamica del Bahrain, la Banca Amanah delle Filippine, la Banca Islamica Berhad della Malaysia, ecc. Nel 1979, sull'onda della rivoluzione khomeinista, l'Iran è stato il primo Paese ad islamizzare l'intero sistema bancario nazionale, seguito dal Pakistan all'inizio degli anni Ottanta e dal Sudan nel 1992. La finanza islamica è successivamente cresciuta a ritmi sostenuti in diversi settori e in diversi Paesi, a maggioranza musulmana e non, diventando un fenomeno di interesse globale, pur rappresentando poco più dell'1% della finanza mondiale.

La banca islamica e i prodotti finanziari - La principale caratteristica del sistema finanziario islamico è, come emerso dall'analisi delle peculiarità di tale architettura rispetto a quella di stampo occidentale, il divieto del ribah, cioè il ricevimento di un tasso di interesse prestabilito. Il rendimento di un investimento è infatti lecito solo se il capitale assume la forma di un'attività reale, non monetaria, e se si associa all'assunzione di un rischio imprenditoriale. In virtù di questo principio, le principali forme di finanziamento che stanno alla base del sistema bancario permettono di evitare l'applicazione di un interesse e di fare rientrare i servizi bancari nel concetto di condivisione degli utili. La banca islamica si configura come un gestore/distributore di fondi, attività e progetti; essa è responsabile dell'individuazione di progetti in cui investire il proprio denaro e quello dei clienti. I depositanti non sono quindi dei creditori verso la banca per le somme depositate, ma si pongono come investitori della stessa. La tipologia più frequente tra le diverse forme di deposito esistenti è quella dei "conti d'investimento": almeno da un punto di vista formale, la remunerazione di questi depositi non è un tasso di interesse prefissato, ma una partecipazione ai guadagni della banca o di particolari progetti che sponsorizza. Questo implica che il depositante è potenzialmente esposto al rischio di vedere intaccato il deposito in caso di perdite subite dalla banca. Per quanto riguarda l'attività di finanziamento, la banca islamica ha come obiettivo la valutazione della redditività di un progetto e non l'analisi del merito creditizio del soggetto finanziato o la sua capacità di fornire garanzie, come invece accade spesso nelle banche convenzionali.

Ogni tipo di operazione bancaria, sia di raccolta che d'impiego, si ispira a strutture contrattuali che poggiano sulla giurisprudenza commerciale islamica ( fiqh al-muamalat). I contratti possono essere unilaterali, in genere gratuiti e non richiedenti un'esplicita accettazione dell'offerta, e bilaterali, tipologia molto più articolata. Rientrano in questa categoria i contratti di scambio, di partecipazione, di trasferimento dell'usufrutto, di garanzia, di agenzia e di custodia. A titolo introduttivo si possono schematizzare le principali forme contrattuali bilaterali nelle tipologie seguenti, tenendo presente la necessita di ulteriori approfondimenti a causa della varietà e complessità del tema:

Contratti di scambio: si riferiscono al trasferimento della proprietà di un bene da un soggetto a un altro

  1. Bai murabaha: doppia vendita con pagamento differito, tra i più usati dalle banche islamiche per operazioni di finanziamento alle imprese, credito al consumo, investimento della liquidità.
  2. Bai salam: vendita a termine in cui il pagamento viene regolato alla stipula del contratto mentre la consegna del bene viene effettuata a una data futura. Somiglia al contratto a termine convenzionale, ma se ne distingue perché il prezzo è pagato alla stipula del contratto, mentre nel contratto a termine tradizionale il prezzo è regolato alla consegna del bene.
  3. Bai istisna: acquisto di un bene o di una proprietà in cui il pagamento è fatto in corrispondenza dello stato di avanzamento della produzione del bene o della proprietà. È utilizzato nelle operazioni di project financing per la realizzazione di infrastrutture.

Contratti di partecipazione: le parti coinvolte, apportando capitale e/o lavoro al progetto, partecipano ai guadagni e /o alle perdite

  1. Mudaraba: contratto di partecipazione ai profitti. Le perdite gravano su uno solo dei due contraenti. Le parti coinvolte sono il mudarib, che apporta il lavoro e le competenze, e il rabb al-maal, che fornisce il capitale. Entrambi partecipano ai profitti, mentre le perdite gravano solo sul rabb al-maal.
  2. Musharaka: contratto di partecipazione ai profitti e alle perdite per i contraenti. Entrambe le parti forniscono una parte del capitale (che può assumere varie forme: denaro, immobili, terreni, brand, reputazione acquisita).

Contratti di trasferimento dell'usufrutto:

    Ijara: consente il trasferimento dell'usufrutto di un determinato bene. È simile al contratto di leasing. Se alla fine del contratto viene trasferita la proprietà del bene è chiamato ijara wa iqtinah.

Contratti di garanzia:

  1. Hawala: contratto gratuito di trasferimento di un debito.
  2. Kafala: contratto gratuito di una garanzia.

Contratti di agenzia:

    Wakala: un soggetto wakìl agisce per conto (e/o nel nome) di un altro soggetto in cambio del pagamento di una commissione.

Contratti di custodia:

  1. Amana: deposito a fini di custodia senza interessi.
  2. Wadia: deposito senza interessi in cui chi riceve il bene può utilizzarlo.

La banca islamica raccoglie depositi, come conti correnti o conti d'investimento, utilizzando tali somme non per effettuare prestiti remunerati da un tasso di interesse, ma operazioni che includono anche la partecipazione diretta in progetti imprenditoriali rischiando in parte anche il capitale versato. Questo espone la banca islamica a profili di rischio differenti da quelli degli istituti tradizionali. In un'economia islamica la regolamentazione e la vigilanza svolgono un ruolo ancora più importante e incisivo di quello proprio di un'economia convenzionale. All'inizio degli anni Novanta sono sorti organismi internazionali con lo scopo di fornire indirizzi comuni, come l'Accounting and Auditing Organisation for Islamic Financial Institutions (AAOIFI), l'International Financial Services Board (IFSB), l'International Islamic Financial Market (IIFM), l'International Islamic Rating Agency (IIRA). Un'altra peculiarità della banca islamica è la presenza del Sharia Board; accanto all'assemblea degli azionisti e agli amministratori è infatti previsto un organo composto da Sharia Scholars (esperti di legge islamica) che deve certificare che l'attività dell'istituto avvenga in accordo con i principi islamici, emettendo pareri mediante l'emissione di fatwa [4].

In linea con l'evoluzione della finanza globale anche la finanza islamica, per lungo tempo limitata all'attività bancaria e commerciale, ha progressivamente impiegato strumenti di mercato come obbligazioni, azioni, gestione del risparmio, fondi immobiliari e strumenti derivati [5]. Naturalmente l'elaborazione di tali soluzioni si propone di essere compatibile con la Sharia e di rispettare il divieto assoluto del ribah. Il sukuk, plurale del termine arabo sakk che significa "certificato", può essere inteso come un'obbligazione islamica, che riproduce gli stessi flussi di cassa di un bond. Tuttavia mentre il possessore di un bond è titolare di un diritto finanziario a un flusso di cassa, il possessore di un sukuk è titolare di un diritto di proprietà su di una parte del bene o insieme dei beni sottostanti l'emissione; perciò mentre il pagamento della cedola di un bond è indipendente dall'andamento delle attività sottostanti, la remunerazione di un sukuk è strettamente legata a tale andamento. La determinazione del prezzo di un bond dipende dalle aspettative sui movimenti dei tassi di interesse, mentre quella di un sukuk è collegata al ritorno atteso del progetto finanziato [6].

Il concetto di takaful (in arabo "solidarietà", "mutua assistenza") elaborato dalla giurisprudenza commerciale islamica rimanda invece alla mutua assicurazione. Secondo l'Islam ogni evento della vita umana è opera del volere di Allah, ponendosi in teoria in contrasto con il concetto di contratto assicurativo; tuttavia al fedele musulmano non è proibito prendere le misure necessarie per cautelarsi contro eventuali rischi. Nell'assicurazione islamica gli assicurati cooperano tra loro, contribuendo alla creazione di un fondo a cui attingere per il pagamento dell'indennizzo a beneficio di coloro che hanno subìto un sinistro [7].

Conclusioni - Nate come esperienza tipica dell'area mediorientale, l'economia e finanza islamica hanno assunto nel tempo una vocazione sempre più globale. Attualmente si stima che l'ammontare complessivo della finanza islamica sia pari a oltre 2mila miliardi di dollari a livello mondiale. In molti Paesi, inclusi quelli non a maggioranza musulmana, sono presenti istituti di credito totalmente islamici o dotati di uno sportello islamico, numerosi fondi d'investimento seguono i principi della Sharia, il mercato dei titoli islamici ( sukuk) conta diversi emittenti corporate o pubblici. In Occidente, soprattutto in Europa, il sistema bancario islamico ha suscitato l'interesse della comunità finanziaria e delle autorità regolamentari all'inizio degli anni Duemila. Gli Stati maggiormente attivi in questo settore sono stati la Germania, i Paesi Bassi, la Francia e in particolar modo il Regno Unito. Qui sono nate recentemente la prima banca islamica inglese retail, Islamic Bank of Britain (2004), e cinque banche d'investimento: European Islamic Investment Bank (2006), London & Middle East Bank (2007), Global Securities House (2007), European Finance House (2008) e Gatehouse Bank (2008).

Standard & Poor's, in uno studio relativo a Bahrain, Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Malaysia, sostiene che nel 2016 il tasso di crescita della finanza islamica si attesterà su un numero a una cifra, rispetto all'incremento del 10-15% degli ultimi dieci anni. L'agenzia di rating evidenzia le tre sfide principali da affrontare: il calo dei prezzi del petrolio, i rapidi cambiamenti normativi per banche e assicurazioni, in particolare Basilea III e Solvency II in ambito UE che avranno implicazioni anche per la finanza islamica, e la frammentazione della finanza islamica stessa. Nonostante la diminuzione del tasso di crescita, Mohamed Damak, responsabile della finanza islamica per S&P, afferma che " nel prossimo decennio il volume del comparto dovrebbe salire a 3mila miliardi. A patto che il prezzo del petrolio si attesti intorno ai 63 dollari al barile in media tra il 2016 e il 2018: se il barile dovesse viaggiare a un valore inferiore pensiamo che i Paesi del Golfo, Bahrain, Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran e Malaysia possano tagliare la spesa per investimenti " a causa del minor profitto generato dalle esportazioni petrolifere [8].

[1] R. Guolo, L'Islam è compatibile con la democrazia?, Roma-Bari, Laterza, 2007.

[2]Il mondo musulmano è costituito per l'85-90% da sunniti (coloro che aderiscono alla Sunna del Profeta Maometto, cioè al suo comportamento, ai suoi detti e ai suoi atti) e per il 10-15% da sciiti (dall'arabo shia, partito, prevalenti in Iraq, Iran, Bahrain e parzialmente in Libano e con presenze importanti anche in Arabia Saudita, Kuwait, Yemen, Siria, Afghanistan, Pakistan e India). Dopo la morte di Maometto, in assenza di precise disposizioni sulla successione, si succedettero una serie di califfi (ovvero "vicari"); l'elezione del quarto califfo Ali, genero di Maometto, fu contestata dai parenti del precedente califfo ucciso, Othman. Ebbe quindi inizio una guerra civile ( fitna) tra i seguaci di Ali e quelli di Muawiya, governatore di Damasco e parente di Othman, che si concluse con la morte di Ali e l'instaurazione della dinastia degli Omayyadi, di cui Muawiya fu capostipite. La fitna segna la fine dell'unità della comunità musulmana, divisa tra sunniti che si riconoscono nella dinastia omayyade e sciiti, seguaci di Ali. Gli sciiti non riconoscono legittimità ai califfi contrapponendo loro gli imam, presunti discendenti di Maometto. Nelle aree a prevalenza sciita il "clero" è potente e gode di una particolare venerazione. Per i sunniti invece gli imam hanno solo il ruolo di dotti e non si accetta nessuna mediazione tra Dio e l'uomo.

[3] La proibizione del ribah è presente sia nel Corano sia nella Sunna. Il Corano esplicita il divieto in alcuni versi:

" Ma Dio ha permesso la compravendita e ha proibito il ribah [...] Ma Dio distruggerà il ribah e moltiplicherà il frutto dell'elemosine, [...] O voi che credete! Temete Dio e lasciate ogni resto d'usura, se siete credenti! - E se non lo fate, ascoltate la dichiarazione di guerra da parte di Dio e del suo Messaggero; [...] Se il vostro debitore si trova in difficoltà, gli sia accordata una dilazione fino a che una facilità gli si presenti; ma se rimetterete il debito, sarà meglio per voi, se sapeste! " [II: 275-280]

" O voi che credete! Non praticate il ribah, doppiando e raddoppiando, e temete Dio sì che possiate essere felici " [III: 130]

" Quel che voi prestate a ribah perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà, presso Dio. Ma quello che date in elemosina, bramosi del Volto di Dio, quello vi sarà raddoppiato! " [XXX: 39]

[4] Per approfondire gli argomenti trattati in questa analisi si rimanda a R. Hamaui, M. Mauri, Economia e finanza islamica, Il Mulino, 2009. Per un'introduzione al tema dell'economia e finanza islamica si veda E. Giustiniani, Elementi di finanza islamica, Marco Valerio, 2006.

[5] Siti web in lingua inglese sul tema dell'economia e finanza islamica http://www.islamic-finance.com/indexnew.htm; http://www.islamicfinance.com/

[6] Sul mercato dei prodotti finanziari islamici: Big interest, no interest, The Economist, September 13, 2014.

[7] Un sintetico glossario dei principali concetti della finanza islamica: http://www.lafinanzaislamica.it/glossario-finanza-islamica/

[8] S. D'Agati, La riscossa della finanza islamica alla ricerca di un'economia "non oil", Repubblica.it, 9 novembre 2015; L. Magna, Ecco le tre sfide della finanza islamica. Report Standard & Poor's, Formiche.net, 11 novembre 2015.