La vittoria del Merkel al lordo dei numeri finali che potrebbero sancire la scomparsa dei liberali e quindi creare problemi, ha ragioni ovvie: per prima cosa la cancelliera ha difeso gli interessi del suo Paese, ha impedito qualsiasi forma di messa in comune del debito, ma nello stesso tempo ha fatto in modo che nessuno uscisse dall’euro impedendo la dissoluzione di una moneta unica che è veleno per noi quanto oro per i tedeschi. Se poi per ottenere questo risultato si è dovuto distruggere la Grecia, pazienza e il discorso vale anche se dovesse succedere anche a Paesi più grossi. In secondo luogo Angela ha avuto l’appoggio del milieu finanziario che vede nella crisi da esso stesso provocata l’occasione per andare a fondo nella distruzione della democrazia, del welfare e dei diritti. L’alleanza tra l’interesse nazionale della Germania e il capitalismo finanziario è stato formidabile per distruggere l’idea sociale di Europa. Fra un po’ anche la Germania ne subirà le conseguenze, ma per il momento l’alleanza ha avuto successo. Infine tutto questo è stato possibile grazie all’arrendevolezza delle vittime, rimbambite da decenni di cultura liberista, soggette a classi dirigenti avide, prive ormai di forti partiti in grado di presentare progetti di una società diversa: invece di fare fronte comune per evitare il pericolo hanno fatto a gara per essere i primi della classe e a buttarsi dentro la trappola del declino, non solo economico, ma anche democratico. Ancora una volta l’Europa eterodiretta dalle banche si è rivelata non un unione, ma un patchwork di stati l’un contro l’altro armati di spread.
Chi ci è uscito in assoluto peggio è proprio l’Italia dotata della classe politica ed economica più mediocre e corrotta, forgiata nei pannicelli caldi del berlusconismo e delle cooptazioni, con un sistema mediatico legato mani e piedi ai pochi potentati residui e ai loro referenti politici: un insieme assolutamente non altezza la cui preoccupazione è stata di solo quella di giostrarsi tra il consenso interno e l’ubbidienza esterna, adottando in splendida unità d’intenti, la menzogna sistematica come metodo di governo. Così Letta e Saccomanni parlano di ripresa quando l’Istat presenta il conto di un’inatteso calo del pil, così Marchionne prima offre ai sindacati americani l’Alfa Romeo in cambio di un buon prezzo per le azioni, poi al rifiuto dice che finché ci sarà lui l’Alfa verrà costruita in Italia (si badi al “costruita” che non esclude cessioni). Sono esempi freschi di giornata di una facciatosta senza più limiti e che tuttavia la paura e la benevolenza dei giornaloni riesce a incanalare nella rassegnazione.
Come si vede l’appassionante saga del Cavaliere e dei suoi ex avversari diventa solo una stazione di servizio nella folle corsa verso l’autodistruzione del Paese e la sua svendita di cui le larghe intese, imposte da fuori, sono banditori. Del resto ci sono le elezioni là dove contano, mentre da noi non si riesce nemmeno a togliere il seggio a un evasore fiscale, in odore di lenocinio e corruzione di minorenni. E ogni gradino che si scende ci si illude che sia l’ultimo, sperando che un qualche patetico fonzie ci risollevi. Ma siamo già in cantina, pronti a essere cucinati come un porcellum e appesi come salami.