Questo kolossal bellico sull’eroismo dei partigiani titini nella Seconda Guerra Mondiale contro le forze congiunte nazifasciste supportate dagli Ustascia croati di Ante Pavelic e dai Cetnici serbi (quando non impegnati a uccidersi fra loro) è una di quelle ricche produzioni internazionali fatte a sostegno di paesi dai regimi non proprio democratici e con industrie cinematografiche di serie B o C (come Il leone del deserto del 1980 interpretato da Anthony Quinn, epos libico contro i perfidi invasori italiani).
Era il 1969, una quindicina d’anni prima dell’avvento dei primi film di Emir Kusturica, la Yugoslavia dal punto di vista cinematografico era uno zero. Gli ex nemici tedeschi e italiani si consorziarono per fornire a Tito un adeguato superpolpettone epico, che rischiò anche di beccarsi l’Oscar di quell’anno per il miglior film straniero, vinto invece da Guerra e Pace del sovietico (oggi possiamo notare che era ucraino, a i tempi in Italia non avrebbe voluto dire molto per nessuno) Sergei Bondarchuk (che nel polpettone yugoslavo interpreta il capo degli artiglieri titini). Segnale che in quell’anno, in nome della distensione est-ovest l’Academy Award era destinato a un film del blocco comunista.
Poco da dire: il film in alcuni punti farebbe quasi ridere. Le fragorose e interminabili scene di battaglia con cannoni che sparano per decine di minuti di seguito francamente annoiano lo spettatore contemporaneo, abituato ad azioni con ben altri ritmi.
Ma la risatina di compatimento si blocca se si guarda all’opera pensando alle analogie con la situazione italiana di oggi. Il generale tedesco Curt Jurgens che tratta con impeccabile cortesia il capo-ideologo dei Cetnici Orson Welles ma sostanzialmente dando alle sue opinioni lo stesso peso di quelle di un povero pirla, non rendendosi conto del rischio che corre sottovalutando l’instabile alleato, ricorda preoccupantemente il rapporto Berlusconi-Bossi. A tratti quasi una profezia.
Il giubilo di Cetnici e Ustascia mentre l’aviazione tedesca demolisce le città yugoslave, soprattutto nel momento in cui viene fatto esplodere un ospedale pieno di feriti e di malati e sterminata la popolazione civile fa correre dei brividi lungo la schiena. Perché sembra esattamente l’atteggiamento delle fazioni italiane d’oggi rispetto alle disgrazie del paese. Crolla il tetto della casa? Meglio, così ammazza quelle canaglie dei miei coinquilini…
Last but not least, il finale del film in cui i “buoni” partigiani titini rivelano che tutto il gusto della vittoria non sta nel darle a tedeschi e italiani invasori, ma nello sterminio dei Cetnici. Cetnici il cui comandante assassina a sangue freddo il capo politico Orson Welles per futili motivi, salvo essere fucilato alla schiena poco dopo dai suoi stessi uomini che non ne condividono alcune scelte strategiche oltre, evidentemente, al modo di fare.
Solo un dubbio: come hanno fatto i doppiatori dell’epoca ad essere così preveggenti da dare ai Cetnici un leggero sentore di accento bergamasco, che insieme alle divise verdi e nere li rende sostanzialmente identici a una banda di leghisti a cavallo?