Messico: la 5ta

Creato il 07 marzo 2016 da Agnese77
Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre!”    È partito tutto, probabilmente, lo scorso anno, quando per una costola rotta ho dovuto rinunciare al volo. Cominciò tutto, sicuramente, otto anni fa, proprio di febbraio, quando per una guerriglia in Kenya il destino pensò di riproteggermi su te.  Cominciò tutto, stranamente, o forse no, in un’agenzia di viaggi dove vado per barattare qualche porta-documento e finisco con lo scoprire che li, vent’anni prima, andavo a chiedere in regalo i cataloghi di viaggio che poi mettevo da parte per aiutarmi a collezionare sogni.  Cosa vuoi fare da grande? Mi chiedevano spesso. Non lo so, pensavo. E male vivevo l’idea di non saperlo dato che tutti i miei coetanei sembravano averlo già chiarissimo… ma evidentemente era chiaro anche a me. Sogni. Da grande avrei voluto collezionare sogni. E allora su. Ti rincorro, è chiaro, come è chiaro che tra poco saremo di nuovo insieme. Ti porto Federica, ed è incredibile il fatto che mi sembra di portarla a conoscere la famiglia… Non credo esista qualcuno che possa dire di conoscermi davvero se non è stato almeno un po’, con me, da te. E allora Londra, poi dritto, speriamo rapido, Londra – Cancùn! Arrivo, scendo, vedo i verdi, ascolto le voci, sento il caldo, ma penso al mare. Al mare… strano dirlo così. Sono abituato a pensarlo come si fa con un’amata, per questo non può esistere nessun ” penso al mare”, ma solo un “penso a te”. Quindi, come sempre, per non sbagliare, la prima cosa che faccio una volta abbandonato l’aeroporto è venirti a salutare. Vederti cosi, agitato, di notte, mi ricorda quando ci siamo incontrati nella Repubblica Dominicana. Mi piaci di notte perché sembri scuro, ma se ti si sa guardare, la luce bianca della luna ti tira fuori, quando scende l’onda, tutto il colore che sei. TI RICONOSCO. Primo risveglio, primo sole, i profumi di ieri, quelli di sempre. Tutto, effettivamente, come al solito. Compresi noi e i casini che tra pelle e cuore mi smuovi. All’inizio non ci capisco mai niente. Gioia, sì, ma mista ad un qualcosa che, boh. Non so dire. Come se mi si mettesse in stand by il cuore per risparmiarmi un infarto da felicità. Mi ci vorrà un po’. Appunto, come sempre. Sono venuto presto oggi apposta per vederti colorare, piano, col salire del sole. Non credo di averlo mai fatto, e ora che mi prendi vita davanti agli occhi proprio fatico a capirne il perché. Che gioia è Federica. Corre con gli occhi dietro ai pellicani che si tuffano in mare con un entusiasmo che mi è capitato di vedere solo nei bimbi. Prima camminavamo e un gruppo di gabbiani le si è alzato sulla testa; chiunque, compreso me, avrebbe pensato a spostarsi in fretta dato che, si sa, cagano ovunque. Lei no. Ha urlato e tirato fuori un sorriso a bocca spalancata da farmi sentire tanto vecchio quanto sciocco solo per averlo pensato il risvolto negativo. Gabbianiii… Guarda! E io ho guardato, e sorriso. Splendore.

Quinta volta in Messico

Un bagnino mi ha piantato a un paio di metri una bandiera rossa e ha fatto così spostare quelle due coppie americane che qui davanti a me si stavano facendo il bagno. Ora tra gli occhi e te ho solo sabbia bianca e piedi. I miei. Un signore mi si siede di fianco, ha voglia di parlare, io di ascoltare. Comincia a raccontarmi di terra, di uomini e di maya… è un poeta, è solo, è triste. Strana sorte quella dei poeti. Mi racconta anche dei genitori che lo hanno abbandonato e delle violenze che il Cartello del Golfo gli ha inflitto perché lui accettasse di vendere droga per loro. Vivo nella strada, appartengo alla strada, ma non per questo devo accettare di vender morte. Che mi uccidano, semmai…  Lo guardo, quando la malinconia è tanta da uscire dagli occhi fatico a non offrire aiuto, anche se infondo cosa potrei mai cambiare? Infatti non ne vuole, non gli serve. Gli serve parlare e allora io continuo ad ascoltare fino a che non decide di lasciarmi in regalo una poesia:
A LA CALLE ME VOY   La calle me llama y a la calle irè queridos padres, si ustedes no me quieren en la calle estarè.
Si alza,saluta. Lui va e io torno a te. Luce e azzurro, azzurri e luci. AH! “Quali occhi ha la testa? Come può vedere tutto questo? Può inventarlo? Si, può, ma solo dopo averlo visto accadere.” Il cielo cupo aiuta sempre a togliere di torno il superfluo. Un mio amico scrive sempre: mi piace quando fuori piove, fa chiudere la gente in casa e lava via tutta la sporcizia. Cosi vale anche qui. Cosi vale sempre, quando si tratta di mare. Chi lo ama, lo ama anche, se non soprattutto, quando è brutto tempo. Il più, quelli che lo vanno a trovare perché in verità amano la tintarella, quando è cosi ne stanno lontani. E questo è un bene. Cosi noi che invece restiamo abbiamo la fortuna di fermarci con lui, soli, finalmente intimi. Qui a Isla Mujeres tutte le cose, quindi anche le onde, hanno un ritmo tranquillo e questo tempo dilatato induce a pensare. I colori del mare, come le luci dell’aria, cambiano durante il giorno trasformando quello che si ha intorno. Ho il molo tutto per me, il sole fatica ad infilarsi nelle fessure che le nuvole lasciano.  Qui il vento è Donna, un attimo duro, un attimo dolce. Arriva chiaro sul viso, ma più che la pelle lo raccontano bene le orecchie; al suono cambia di netto, d’improvviso. Arriva e si sposta, come vuole, libero.  Destra, sinistra, nord e sud non lo riguardano, come non lo riguardano i verdi e gli azzurri che mi muove sotto gli occhi e le foglie delle palme che mi ondeggia sulla testa. Meraviglia eterna, che ogni giorno si ripete. La fortuna è che oggi, qui in mezzo, ci sono anch’io.

Quinta volta in Messico

Ci spostiamo, molto. Spesso. Viaggiamo… Bus, piedi, piedi, bus. Da Cancùn a Valladolid, da Valladolid a Chichèn Itzà, da Chichèn Itzà a Merida (splendida), da Merida a Chetumal, da Chetumal a Bacalar, da Bacalar, piano, di mattina, a Mahahual. E qui, in una tendina canadese senza picchetti, tenuta a terra dal peso dei nostri corpi di notte e da quello dei nostri zaini di giorno, troviamo posa. Anch’io, incredibilmente, trovo posa. Anche se oltre che niente Guatemala, tampoco Belize; anche se travolto dai nervosismi per giorni, alla fine, nonostante tutto, trovo posa. C’è poco da fare, ti puoi sbattere quanto vuoi, i viaggi si fanno da soli. A noi non resta che lasciarci trasportare, persi nelle emozioni, fino alla meta che ci è destinata. A quanto pare di nuovo, ancora, Tulum. Se non fossero un paio di cento Km andrei a piedi tanta è la voglia di sentirmi lo zaino sulle spalle. Ho bisogno di perdermi un po’, da domani proverò, ora ho appuntamento col tramonto. Mahahual è, ora si, un porto da crociera… Ma conserva, se la si guarda bene, quella malinconia che sorniona ti porge la mano e i tempi larghi, lunghi, del Messico che amo. Il mare è calmo, il vento lieve, il sole fa il cielo rosa e arancio, due pescatori legano a riva le barche e il rumore dell’onda mi coccola le orecchie. Tre irlandesi si rotolano nella sabbia. Gioie tropicali. Zaini sulle spalle, piedi di nuovo sulla strada,occhi dritti, decisi: si va avanti. E per la prima volta nella mia vita sento placato il tormento. Per la prima volta nella mia vita non mi sembra di patire, da schiavo, la fame dell’andare. Un cerchio, forse, finalmente chiuso. Amore portato a compimento. Beato in spirito. Come se un corpo smettesse di avvertire, di punto in bianco, il bisogno di mangiare e di bere. Fatto. Tutto. Completo! Ed io mi sento grato, infinitamente. È gioia. Ma non la solita. Non nella testa. Esce, delicata e prepotente, chiara, da quello che di più profondo ho. E ora capisco, finalmente, cosa vuol dire sorridere con tutto il corpo. Felipe Carrillo Puerto grida il ragazzo del bus. Sento tutto, ma è come se le cose mi fossero distaccate. Come se tutto mi toccasse, anche quello che di solito fatico a notare, chiaramente, ma attraversandomi. Continuamente. Mi guardo dall’alto. Otto anni di amore e di rincorse, e ora, finalmente, mi sento talmente pieno di te da poterti salutare.
“IO RESPIRO DALLA STESSA PANCIA TUA!”
Che potenza i temporali tropicali… Il cielo basso, color ghiaccio, lampa viola. L’acqua scende forte e compatta. Tonfa. Fa rumore. Quella a terra scorre via per il mattonato di Playa come un fiume quieto. Dritta, fino alla spiaggia, e poi al mare. Di fronte un cancello. Le tiendas hanno tirato dentro le coloratissime coperte. La signora che si occupa delle pulizie della casa dove stiamo in silenzio spazza le scale dove sono seduto. Il figlio la rincorre facendo domande. Quiete e potenza. Rumore e silenzio. Tutto e il contrario di tutto. Sempre. È questo che sei, ed è per questo che streghi. Riempi e avvolgi. Strappi e cuci. Fai e disfi… Questo.
“La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”
Se non è il paradiso questo, allora il paradiso non sta da nessuna parte. SIMPLEMENTE EL EDEN. Natura, nient’altro. O meglio: poco altro. Qualche capanna. Meglio ancora: una ventina di capanne in cui dormire, una per la cucina, una per le docce, una per i bagni e una, proprio sul mare, per bar. In più solo qualche sedia. Il “resto” sono sabbia, mare, palme e silenzio… Silenzio rotto solamente dal canto di qualche uccello o dal fruscio del vento che si rotola tra le palme e le orecchie. Di notte la luna è talmente lucente da illuminare a centinaia di metri. E si vede tutto quel resto. Tutto. Si vede la sabbia, bianca; il mare, azzurro; le palme, argento e le ombre. Di notte. Le ombre. Di quel resto soltanto una cosa non si vede, ma solo perché quando scende la notte sembra addirittura di poterlo toccare: il silenzio. Rotto sempre, anche di notte, dal vento e dal rumore del mare che ora mi cade, morbido, sui piedi mentre vinto rimbalzo tra le scene che questo meraviglioso film che è la mia vita continua a non smettere di regalarmi. Il solito, ragazzo fortunato. Che poi questo è, e altro senso non trovo, se non il cercare di non lasciarmi alle spalle minuti vuoti che poi con l’andare degli anni mi dovrei trovare a rimpiangere. Mi drogo infondo anche io, come tutti. Chi di stupefacenti, chi di medicine, chi di TV, chi di noia… La mia fortuna è che per droga ho scelto le emozioni. Stargli dietro non è semplice; vivere bruciando ti ingrandisce le vittorie, ma anche le sconfitte. Fatto sta che non so fare altrimenti. Droga, appunto. Quanto vorrei poterne vendere un po’. Sorrido. Siamo alla fine, ma mai avrei fatto nuovamente l’errore di salutarti direttamente da Tulum. L’ho imparato fin tropppo bene: i cerchi vanno chiusi. E allora eccomi qui:   I piedi bagnati, ora si e ora no, dall’onda che leggera va e viene, gli occhi fissi su di te, il cuore in giro, da qualche parte, anche lui a salutarti, come sa salutarsi chi ha la fortuna di non dover usare parole. Come già detto, come sempre, tutto e il contrario di tutto. Come sempre il solito, stupendo, azzurro. E quindi io cosi, di nuovo, ti saluto. Ma questa volta senza nessun “vuelvo pronto mi amor”. Soprattutto senza nessun “mi”, perché mio non sei… e finalmente mi è chiaro. Dev’essere cosi che funziona un amore vero. Appartenersi è facile, ma amare è un’altra cosa. Non credo di tornare, sicuramente non presto; quindi un semplice ciao, e un grazie, infinito, con tutto l’amore che posso. Lo so, lo sai e ormai tutti lo sanno: non sarei me se non avessi incontrato te. Ciao meraviglia. GRAZIE!
“Temporaneamente, nero il cielo, e mosso il mare E poi, temporaneamente, tutto calmo E temporaneamente sono anch’io, nell’universo Un modo d’essere, uno fra i tanti modi  Confuso, nell’eterno movimento, di infinite, temporanee cose.”

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