Mestieri ferroviari

Creato il 07 aprile 2013 da Unarosaverde

Sono salita sul trenino che risale la valle dalla città, questa mattina, mentre la pioggia non aveva ancora deciso se lasciare la superficie del lago o soffermarcisi ancora un po’. Le carrozze nuovissime, da metropolitana leggera, hanno sostituito da qualche anno i vecchi vagoni arancio sciupati e scoloriti su cui salivo da universitaria ma il tragitto è lo stesso e i tempi di percorrenza pure. Spero che non cancellino mai questa linea in perdita continua, che taglia pericolosamente la strada costiera in più punti, che sbuffa arrampicandosi verso le montagne tra scorci d’acqua e gallerie buie, che unisce i paesi, di stazione in stazione, per chi l’auto non l’ha o non la vuole usare.

Mi piace, il treno: ho tempo per leggere o per guardare fuori dal finestrino lasciando che si sgarbuglino i pensieri.

Oggi seduti nella mia stessa parte di carrozza c’erano una signora non troppo giovane da potersi muovere veloce né troppo vecchia da non potersi permettere di arrampicarsi sui gradini o saltar giù sulla banchina più facilmente di me – non c’è niente che agevoli il superamento del dislivello. La borsa e la giacca accanto a lei, stava col corpo in leggera tensione, staccato dal sedile, proteso verso la direzione di avanzamento, in attesa della fermata, molti chilometri lontana dal punto in cui era salita.

C’era un ragazzo che telefonava a voce alta a un conoscente che, mi è parso, facesse il modello e fosse andato ad un casting. In un quarto d’ora non ha detto una sola frase spontanea che non riecheggiasse modelli precostituiti di conversazione fatua da intrattenimento di canale televisivo. In compenso ha pronunciato la parola “cazzo” e qualche suo sinonimo almeno trenta volte. Roba da professionista.

C’erano due signore russe di mezz’età, che conversavano fitto fitto nella loro lingua madre: mi sembrava di essere in viaggio per davvero, come qulla volta, da Mosca a San Pietroburgo, in mezzo alle foreste sterminate.

C’erano una mamma con due bambini. La madre, età sulla quarantina, parlava, sia ai figli che a chi le rivolgeva delle domande, con il tono di voce di una dodicenne. Il maschietto sonnecchiava. La femminuccia, cinque anni, gli occhi vigili, non ha mai chiuso la bocca e, con lo stesso tono di voce della madre, ma in un’ottava superiore, ha osservato e commentato ogni dettaglio: il panorama, l’isoletta con la sua villa misteriosa, puntino accanto all’isola grande, gli arrivi, le partenze, le stazioni e le persone.

Poteva permetterselo, di osservare senza ansie il mondo ad alta voce e dipingerlo con stupore: c’era il trenista alla guida, ci avrebbe pensato lui a portarla sana e salva fino dai nonni.


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