Metaborg umanoidi contro robot: un rinascimento d’acciaio? Opere di Gianni Zara e Luca Motta

Creato il 24 luglio 2015 da Francescotadini @francescotadini

In mostra a Milano presso Spazio Tadini i Metaborg umanoidi contro robot: un rinascimento d'acciaio? Opere di Gianni Zara e Luca Motta. Recentemente un collezionista e amico di famiglia mi ha domandato come mai, a Spazio Tadini, anziché insistere su mostre "di calibro" - cioè di nomi che nel mercato dell'arte trovano una corrispondenza precisa (nelle aste, soprattutto) io e Melina Scalise scegliamo il nuovo, il difficile .... in poche parole: ciò che non ha ancora maturato le premesse per entrare nel mercato internazionale. La risposta é: abbiamo deciso che il destino di un luogo della pittura - cioè lo studio di mio padre Emilio Tadini, morto nel 2002 - debba continuare a essere vita. E la vita è l'impresa più rischiosa che si possa correre.

Gianni Zara e Luca Motta hanno dato vita alla coppia artistica Metaborg. Mi hanno convinto quando ho visto una serie di piccole e medie sculture in ferro riciclato presso la Fabbrica del Vapore nel 2014, in una mostra curata da Caterina Seri. Abbiamo deciso, da allora, di dare loro l'opportunità di esporre con una personale nella Casa Museo / covo d'arte del vecchio Tadini. Il passaggio intermedio è arrivato con una mostra collettiva che io e Melina Scalise ci siamo divertiti a chiamare "Mostra per gioco". La loro partecipazione a tale mostra - sempre a Spazio Tadini - è stata esemplare, con l'invenzione dell'opera / gioco "BIDONDOLO". In pratica una bicicletta montata su un supporto basculante mosso dalla pedalata dell'utilizzatore.

Da allora, lo confesso, è scattata in me la passione per una coppia creativa nella quale intravvedo le potenzialità di fare dell'arte un mestiere di ricerca.

La mostra attualmente esposta a Spazio Tadini (luglio 2015) dei Metaborg è, mi spingo a dire, qualcosa di più di una sintesi di un ciclo artistico iniziale di due giovani. Non abbiamo esposti robot in ferro riciclato, ma umanoidi di un ciclo letterario cyberpunk.

Robot deriva dalla parola ceca robota: lavoro pesante, a propria volta derivata dall'antico slavo ecclesiastico rabota: servitù. In letteratura e cinema (soprattutto) la macchina, il computer, il robot, ha aiutato e sostituito l'uomo fino alla follia di diventarne successore (2001 Odissea nello Spazio), di esserne schiavo non troppo mansueto (Blade Runner) o di interpretare il "cattivo" al servizio della corporazione economica (Alien) contro uomini che tentano di sopravvivere all'alieno. Con Guerre Stellari abbiamo robot "maggiordomi" e servizievoli, appassionati aiutanti di uomini dotati di altrettanti buoni sentimenti.

Con i Metaborg abbiamo una generazione di umanoidi. Non schiavi. Non cattivi. Non "buonisti". Abbiamo delle bellissime sculture dotate di anima e corpo d'acciaio che prendono vita (per ipotesi letteraria) da sole, sulle ceneri - anzi: addirittura sulla spazzatura - dell'umanità estinta. E che, anziché vivere tranquillamente la vita dell' impiegato digitale, decidono di somigliare ai lati migliori dei loro predecessori sul pianeta Terra. L' anatomia e la filosofia. Il corpo - con tanto di pollice opponibile - dei Metaborg somiglia a quello stesso corpo che, nei millenni, ha dato vita - nonostante tutto - a quello che ci ostiniamo a chiamare civiltà. Un corpo capace di porsi domande che non riguardano la pura sopravvivenza della specie, ma che arrivano dritte dritte dall'amore per il sapere.

Sembrano interrogarsi, industriarsi - a tratti lasciandosi andare a una inestinguibile e apocalittica stanchezza - i Metaborg. Mostrano debolezza, delicatezza d'ali di farfalla, tendini tesi ad uno sforzo che non consiste solo nel sollevamento di un corpo di ferro o nello svolgimento di mansioni titaniche, ma nel raggiungimento di un obiettivo "mentale": la conoscenza di sé stessi.

La letteratura (e l'arte, soprattutto street art) post cyberpunk - corrente nata nella prima metà degli anni ottanta - ha illuminato tratti di una nuova strada - naturalmente molto in salita - essenzialmente ribelle. La rivolta è contro il sistema "grande fratello", "matrix", che tutto domina e organizza per via di controllo mentale sofisticato. Dopo qualche annetto di rivoluzione digitale ci accorgiamo di quanto sia realistica l'ipotesi di affidare "in cloud " l'intera nostra coscienza e di quanto non siamo lontani dalla vittoria definitiva del congegno economico e sociale che vede l'individuo agli assoluti margini di qualunque decisione riguardante gli assi portanti della quotidianità.

Metaborg, però, non è un semplice di rivolta. Non è solo un graffio sanguinante su una parete lacerata di una qualunque grande città. Metaborg è un inno al sapere individuale, unica premessa per ogni autentica rivoluzione umana. Gianni Zara e Luca Motta - con la complicità di una bravissima disegnatrice come Eleonora Prado che ha interpretato i segni dell'apocalisse che ha preceduto l'era Metaborg - propongono una visione positiva: i resti, gli avanzi, gli ultimi, coloro i quali - ormai a pezzi - non svolgono "sociali utilità" possono ancora rimettersi in piedi, cercare, ricomporre e, forse, trovare una nuova via.

La metafora di queste bellissime sculture / umanoidi - davvero impressionante è lo studio anatomico delle posizioni nello spazio - è tutta qui: come passare dalla decostruzione (anche nel segno artistico) a una rinascita organizzata su valori che non possono che continuare ad avere a che fare con l'amore per il sapere. Cosicché, a Spazio Tadini, troverete sculture che leggono, che cercano di illuminare la strada con una lanterna, che spostano un carrello della spesa pieno di altri scarti pronti a risorgere...

Sul piano formale, direi che la scommessa Metaborg è vinta (anche se è solo al principio). Già un secolo fa lo stesso Kurt Schwitters, precursore di tutta l'arte installativa del Novecento, fondava le sue costruzioni - la serie dei Merzbild e la Merzbau - sulla nozione che l'opera d'arte acquisisca valore solo dopo una precedente perdita di valore. Solo sulle rovine del senso l'umanità continua a chiederne a gran voce uno nuovo. E non solo in arte ...

Tornando alla domanda del collezionista sul destino di un vecchio atelier di un grande artista - lo Spazio Tadini - direi che dopo questa mostra sono ancor più convinto delle mie scelte: largo ai giovani e al rischio di vivere.

Bravi Gianni Zara e Luca Motta.

Francesco Tadini