Se non ti metti in gioco, perché scrivi?
Tutto è racchiuso nella risposta che si riesce a dare. Molti immaginano che la scrittura non significhi altro che proseguire su carta, le proprie idee. Mi chiedo a questo punto, se per costoro non sia più efficace scrivere una mail agli amici.
Mettersi in gioco vuol dire abbandonare quello che si conosce, non seguirlo. Se non si scommette sulla propria capacità di osare, non si arriva molto lontano. Certo, comprendo bene che questa idea possa apparire del tutto sciocca quando da più parti ci si vanta di scrivere solo di quello che si conosce.
Quello che non c’è, eppure esiste e parla attraverso quello che abbiamo e vediamo, non è alla portata di chiunque. Richiede attenzione, capacità di osservare, silenzio. Soprattutto la consapevolezza che bisogna fare un passo indietro, tacere.
Mettersi in gioco, esatto.
Bisogna avere una grande dose di presunzione per credere che quello che c’è, possa essere sezionato, distribuito e compreso. Sarebbe come ritenere che la superficie del mare è ciò che sappiamo e vediamo, e sotto di essa non c’è niente.
La vita è troppo vasta e complicata per accontentarsi della sua superficie.
Ma attenzione: la sua vastità è pericolosa perché rischia di ridurre all’inazione. Al timore di avventurarsi in qualcosa di talmente enorme, che ci schiaccerà.
O, peggio ancora: la vastità delle possibilità che la scrittura lascia intravedere, ci ubriaca. Ci sentiamo forti e sulla giusta strada, quando di solito non ci siamo mossi di un centimetro.
Sono rischi reali. Sono rischi che si devono correre.