Ve lo anticipo, non ho capito bene cosa sia andata realmente a vedere venerdì scorso. Ancora faccio fatica a metterlo a fuoco. Installazioni luminose, proiezioni, registrazioni audio, led giganti, pianoforti che suonano da soli, librerie che nascondono passaggi segreti. Cose che di solito non apprezzo particolarmente. Quell’arte capìta a volte solo da chi crede di capire l’arte. Quell’arte contemporanea che di solito mi stanca ancor prima di avvicinarmici, per principio. Detto questo, e contraddicendomi con tutto quanto appena scritto, lo scorso week-end sono tornata a Parigi. Oltre al Paris Photo volevo visitare due musei che non sono mai riuscita a vedere, il Quai Branly e il Palais de Tokyo.
Palais de Tokyo – L’opera “Baitogogo” di Henrique Oliveira, un abbraccio tra architettura e natura
In merito a quest’ultimo, se capitate in città in questo periodo, non perdetevi l’esposizione “Anywhere, anywhere out of the world” di Philippe Parreno. Per la prima volta l’intero edificio è nelle mani di un unico artista che, avvalendosi della collaborazione di altri performer, ha “plasmato” il palais secondo le sue regole artistiche, ponendolo al servizio dell’arte. Ne rimarrete colpiti. Vi sembrerà di entrare in un edificio vivente che sembra respirare, parlare, muoversi, accompagnarti man mano lungo l’itinerario della mostra, stregandoti con intermittenze luminose. Lasciatevi andare a queste illusioni e a questo senso di incomprensione.
Non capiterete bene forse cosa avete davanti agli occhi, ma il disorientamento tra spazi bui, voci registrate, musiche, luci ad intermittenza che illuminano questo “scheletro industriale” colpisce. Perchè, in fondo, il disorientamento alla fine è una sensazione che ci stravolge, immagazziniamo e riusciamo a riportarci a casa.
“Anywhere, Anywhere Out Of The World”
“Anywhere, Anywhere Out Of The World”