Cacti Pot 2 (Photo credit: Brandon Heyer)
Mi fermo in prossimità di un errore, con il bisogno di riflettere e di capire, rigirandoci continuamente intorno.
Cammino sui miei passi a testa bassa, rigirando i miei pensieri tra di me, e seguo con lo sguardo le linee diagonali del pavimento; e immagino che le mie dita come piccoli nani percorrano le fughe che corrono oblique e ruvide verso l’orizzonte, per infrangersi interrotte e senza destino o continuazione contro il muro che separa dall’infinito.
E vorrei essere una poeta per poter trovare una metafora sula vita, a partire da questa scacchiera sotto il solo dell’estate.
O vorrei essere un fotografo per fissare senza parole questo istante in uno scatto, come fosse un’emozione che non passa e che non muore.
Ma il mio sguardo non sa soffermarsi e scavare e fondo, nè cogliere una verità di vita più assoluta; e si sposta su un fotogramma diverso che contiene dei cactus in un angolo riparato- il più riparato- dai venti.
Il cactus- la vita; la vita- il dolore; il dolore delle foglie che non possono essere foglie e restan spine.
Forse ho trovato un ‘idea. Per la mia metafora. Forse per una poesia.
Ma c’è nell’aria un clarinetto che fa scale; non è come gli altri clarinetti che si aggomitolano sornioni come gatti; questo fa scale come
E resto inerme al centro del mio piccolo mondo, con un sfarfallìo di dolore dentro al cuore, mentre le fughe continuano ad essere fughe, i cactus restano fermi nel loro disarmante silenzio, il clarinetto a volte si ferma e ripete una nota in prossimità di un errore.