Mi ha insegnato a non aver paura della morte – di Giovanna Gentilini.

Da Met Sambiase @metsambiase

Ho da fare una breve premessa: quando ho chiesto a Giovanna Gentilini se volesse parlarmi un po’ di più di una sua poesia tratta dal libro “Mentre rammenti ascolta il lievito” lei, come sempre accade, ha promesso di accontentarmi  e così è stato. Mi ha inviata una memoria che non posso non condividere con voi. Buona lettura.

Felice Casorati

Se penso a lei, la prima cosa che vedo sono le galline, nella cantina, attraverso la finestra, chiusa da un’inferiata, che dava sulla strada. Co, co, co….. le sento ancora mentre beccano il ”pastone”, così chiamavano i grandi la miscela di farina di granoturco e pane vecchio ammollato. Non vedo il viso, ma la vestaglietta di cotone a piccoli fiori su fondo nero, il colore della sua vedovanza, e sopra questa il grembiule da cucina , di cui teneva un lembo con la mano sinistra mentre con la destra spagliava il granoturco. Abitavamo al terzo piano di una casa di nuova costruzione, alla periferia estrema della città, e tutte la famiglie avevano una gallina, dopo la guerra.
Alla morte del nonno dovette lasciare l’appartamento al primo piano e anche la cantina; il suo viso, che non lasciava mai trasparire alcuna emozione, come se fosse rimasto ingessato dal dolore, ebbe un’espressione di disappunto e con un filo di voce : “ come faremo senza galline…”. Andò ad abitare con mia zia Marcella nell’appartamento al primo piano di fronte a quello che era stato il suo. Il nonno era morto nella primavera del 1945, ammazzato dai partigiani in un porcile, e nel giro di un anno la nonna perdette anche la casa e le galline………, un vuoto difficile da riempire. Poi nacque Rossella, mia cugina, e lei, per accudirla, si trasferì in casa del figlio minore, Giorgio, fratello di mia madre e il suo cuore, finalmente si aprì. Le morbide braccia di Rossella allontanarono i fantasmi che popolavano la sua mente. Ma questo avvenne alcuni anni dopo, quando io avevo undici anni. Prima di allora, lei, la donna più anziana della famiglia, m’ incuteva una sorta di timore; era di poche parole, anzi spesso taceva e non accennava mai ad un sorriso. Iniziai a conoscerla e, poi, ad amarla, quando, alla nascita di mio fratello Francesco, avevo nove anni, dovetti trasferirmi dal mio letto al suo. Tutte le sere, dopo aver cenato, scendevo quattro rampe di scale ed entravo nella sua stanza. La nonna toglieva lo scaldino dal letto, era novembre, ed io salivo aggrappandomi al materasso di piume dove mi accoglievano bianche e profumate lenzuola. Una bambola, che le avevano regalato il giorno del matrimonio, vestita di pizzo rosa, seduta su una sedia accanto al letto, guardava me e la nonna mentre recitavamo: Padre nostro che sei nei cieli……; una fila sgranata di preghiere : Ave Maria, Salve o Regina, Angelo di Dio….. . Terminava la litania un numero imprecisato di “ Eterno riposo” per tutti i morti e, per il nonno. Come ricompensa, per l’impegno nella preghiera, la nonna mi raccontava storie di fuochi fatui, i morti, lei diceva, che tornavano a trovare i loro cari. Io ascoltavo rapita; se chiudevo gli occhi, mi sembrava di vederle quelle fiammelle vaganti di notte nella campagna, intorno a casa, e le amavo. Non mi abbracciava, la nonna, ma io sentivo lo stesso il calore del suo corpo sdraiato accanto al mio e la sua voce carezzevole come una piuma.. Lei mi ha insegnato a non averne paura, dei morti. C’era una grande quadro, nella parete in fondo ai piedi del letto, rappresentava una bambina mentre attraversava un ponte sospeso su un dirupo, ad attenderla un angelo; mi dava un po’ di inquietudine quel dipinto,temevo che la bambina cadesse di sotto, anche adesso mi chiedo: “ sarà caduta?…..”. Quando,all’età di ottantaquattro anni, si spense, ero con lei. Il 21 di Aprile di due anni fa, in una fresca mattina di primavera, Rossella ed io andammo a riesumarne le spoglie; di lei non è rimasto che un mucchietto d’ossa e la corona del rosario. L’urna con le sue ceneri è a casa di Rossella; potevamo dividerle a metà? Lei, quasi sicuramente non avrebbe voluto. Io ce l’ho sempre vicina, nel mio cuore.

(c) Giovanna Gentilini

Il vent’uno di Aprile a primavera

(da “Mentre rammenti ascolta il lievito”

edizioni Rossopietra, 2013)

Tu non sei solo quel mucchietto d’ossa

color di terra mischiate al tuo rosario

sei la bambina

dai capelli biondi e mossi

che salta i fossi

nei campi che circondano il mulino

che il vent’uno di Aprile a primavera

raccoglie viole nei prati a Saliceta San Giuliano

dove fanciulla dai lineamenti fini

incontrasti il tuo Francesco e lo baciasti.

sei la donna

che il vent’uno di Aprile a primavera

lo vide portar via dai partigiani

con lui avevi fatto quattro figli

lo ritrovasti un anno dopo

dentro al suo cappotto

ridotto anch’egli

ad un mucchietto d’ossa

buttato insieme ad altri in una fossa

in quell’inverno di morte e di follia.

sei la nonna delle giuggiole

che mi faceva le trecce ogni mattina.

***

Mi ha insegnato a non aver paura/dei morti/la nonna

arrampicarsi era un’impresa

sul letto in ferro battuto

il materasso di piume

sfuggiva alla presa

tra piume sprofondo

un momento

poi tutto ritorna

silenzio

nel buio con nonna

a Dio

intonavo

nel buio

lanciavo

preghiere

per i vivi per i morti

per il nonno

poi storie

magnifiche storie

nascevano

tra candidi lini

magnifiche storie

tra calde lenzuola

di fuochi

di fatuifuochi e

fantasmi

di mortiviventi

allegri o piangenti

ogni notte a cercare

i parenti

-le luci, le piccole luci

che danzano tra

l’erba dei campi

sono loro

- cantava la nonna -

è   il nonno -

ed io

per amore per pena

a loro per mano

il segreto sentiero

indicavo

per amore dei vivi dei morti

coi morti bambini

per amore per gioco

a strega giocavo

(c) Giovanna Gentilini


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