Mi hanno detto che sono morto

Creato il 09 gennaio 2012 da Abattoir

lunedì 9 gennaio 2012 di L'Abattoir

di Carlo Nix

Alla radio passa l’ennesima notizia di alcuni licenziamenti e dell’aumento di una nuova tassa che, onestamente, non avevo mai sentito prima. Sono Gaetano, ho 28 anni, ho una moglie e due figli e questi sono i miei ultimi pensieri, il mio testamento prima di morire.

Ho guidato fino a una rupe del bresciano, dove vivo ormai da 7 anni. Ero un cuoco, ho sempre cucinato e questa è la mia ultima sconfitta.

Ho stretto i denti per tutta la vita perché amo pazzamente mia moglie Laura. Stiamo insieme da 10 anni, veniamo tutti e due dalla provincia di Palermo, da Bagheria. Ci siamo conosciuti tornando dall’alberghiero in treno. Lei è bellissima come il primo giorno che l’ho vista: occhi verdi, capelli neri e ricci e pelle bianchissima. Ha il viso dolce e paffutello, ma da anni ormai non la vedo più ridere.

Mia figlia, la più grande, ha 5 anni, Anna, l’ho chiamata come mia madre; lei è uguale a sua madre, occhi, capelli e tutto il resto, l’unica differenza è che lei ancora riesce a ridere. La vedo lì nella sua stanzetta che divide con il fratellino, Antonio, il mio piccolino deve fare 3 anni tra poco. A volte ho pensato di farla finita dopo il suo compleanno, ma, in fondo, non fa molta differenza. Comunque dovrà sempre ricordarsi di un padre codardo, che ha preferito farla finita piuttosto che continuare a combattere per lui, per sua sorella, per sua madre.

Il fatto è che oltre un mese fa mi hanno licenziato per l’ennesima volta. Io sono un cuoco, ho studiato per diventarlo e adoro il mio lavoro. Sono emigrato perché non riuscivo a trovare un lavoro stabile giù in Sicilia e perché volevo sposare Laura. Volevo mettere su famiglia, avere dei figli, magari riuscire a comprare una casa. Invece, sono stato costretto a vendere anche la macchina perché non riuscivo più a fare il gasolio. Due anni fa, sono stato licenziato da un ristorante siciliano. Cambio gestione. Adesso hanno aperto un locale di cucina giapponese con il cibo che ti scorre davanti su un nastro metallico. Ricordo ancora quel giorno, l’ultimo servizio, eravamo 13 dipendenti tra sala e cucina e da noi potevi trovare il pesce più fresco di tutta Brescia. Ma a quanto pare alla gente il pesce piace crudo e della cucina siciliana non gliene sbatte una minchia a nessuno.

Morale della favola: mi trovo costretto a girare per le inutili agenzie interinali. Fogli di carta con la tua foto e la tua esperienza di qua e di là, ma nessuno che risponde. Qualche mese come salumiere in un supermercato, una serie di servizi di catering e poi la fabbrica. Contratto annuale in una fabbrica di biscotti, addetto alle impastatrici: 1.050 euro al mese. Con i piccoli da tirar su anche mia moglie ha dovuto cercare un lavoro. Certo, non a tempo pieno, perché non siamo riusciti a trovare un asilo nido per i piccoli. Non ci sono posti o non ce lo possiamo permettere. E poi la depressione. Quando sono arrivato al nord avevo un bel colorito, un bel fisico, ero un bel giovanotto, mi vedo qui nella foto della mia patente, patente che non mi serve più, tanto non ho la macchina e questa che sto conducendo adesso verso la morte l’ho rubata. Si perché devi portare qualcosa a casa da mangiare.

Ho iniziato a rubare nei centri commerciali, fortunatamente, ancora non sono stato beccato. Principalmente ho rubato carne e uova, per far mangiare i piccoli, per me di solito prendevo qualche bottiglia di vino che infilavo sotto il lungo cappotto rovinato e che mi scolavo avidamente, appartato dietro il supermercato. Una delle mie poche consolazioni è bere.

Guardo la mia faccia nello specchietto retrovisore e riguardo la foto della patente: non sono io questo. Ma non mi faccio schifo, non provo vergogna per aver rubato, per aver fatto tutto quello che ho fatto, non mi vergogno di niente. Semplicemente, non sono più felice e non ho più le forze per alzarmi la mattina, aspettare l’autobus alle 5.30 con –9 gradi fuori e andare a fare qualcosa che non voglio fare e che viene pagato anche male.

Ho perso la gioia di stare su questa terra anche mentre mio figlio mi mostra i giocattoli rotti ridendo, mentre io lo guardo che sono già morto dentro. Ma lui non può capire, lui non può capire un padre che circa 5 anni fa sognava di mettere dei soldi da parte per aprire il suo ristorante a conduzione famigliare. Come posso dire a mio figlio che suo padre più di questo non può fare per lui? Come posso dirglielo?

E poi c’è mia moglie, Laura. Quanto male le ho fatto? Io e lei non parliamo più da mesi, ormai. Non riesco nemmeno a guardarla in faccia, tra noi non c’è più quel legame che ci univa anni fa. Anche lei si è rassegnata, in silenzio, senza dire niente, ma si è rassegnata a tutto questo. Ha deciso che questa è la sua vita e, grazie ai suoi lavoretti come domestica, tiriamo avanti.

Ho provato a fare altri lavori, ho provato a sporcarmi le mani con il cemento, ma io ho sempre impastato farina, ho provato a maneggiare scopa e paletta in un cesso pubblico per meno di 5 euro l’ora, l’ho fatto, ma, inesorabilmente, a ogni cicca che tiravo su con la mia paletta, mi rendevo conto che la mia vita era diventata un incubo, un gioco schifoso senza regole al quale non volevo partecipare. Non stavo vivendo la mia vita. Raccattando mozziconi di sigarette in un bagno di un autogrill, mi rendevo conto che spendevo un sacco di soldi per arrivare sul posto di lavoro senza riuscire a portare niente a casa. Chiesi più di una volta un posto come pizzaiolo, tornai a chiedere ai supermercati, ma anche lì, se vuoi entrare alla Coop devi avere una raccomandazione.

Dopo oltre un anno di ricerche e lavori schifosi mi ritrovo dentro una Ford rubata, in cima a uno strapiombo. Da qui si intravede casa mia. Lì ci sarà mia moglie che cuce qualcosa, con i piccoli che dormono. Le ho detto che ho trovato lavoro come barista in un autogrill e, non so perché, lei mi crede, nonostante tutto mi crede ancora.

Invece ho rubato una macchina, solo che invece di andare all’appuntamento con alcuni zingari per piazzarla, ho detto basta.

Io sono Gaetano Marino, mio padre Giuseppe Marino era ferroviere ed è morto di tumore a 54 anni. Mia madre ha tirato su la famiglia con la pensione di mio padre e grazie ai miei zii. Sono andato via dalla mia terra per cercare un lavoro, ho lasciato il mare, gli amici e i parenti e non rivedrò mai più mia madre perché ho deciso di farla finita.

Adesso ho acceso la macchina e sto sgasando in direzione del guardrail. Io ero un cuoco, una volta, e amavo il mio lavoro e stavo bene con mia moglie Laura ed ero felice di avere i miei due bellissimi bambini.

Amo ancora mia moglie e adoro i miei figli, ma non riesco più a guardarli in faccia perché mi vergogno di quello che sono diventato: un ignobile codardo. Il guardrail è sempre più vicino e il mio volto scavato dalla stanchezza e dalla rassegnazione si riflette sul vetro del parabrezza.

Era una notte tranquilla, la notte che sono volato giù da un dirupo di oltre 80 metri. Mi hanno detto che la mia macchina ha continuato a rotolare per 600 m prima di andarsi a schiantare contro un albero ed esplodere poco dopo per la deflagrazione del serbatoio.

Avevo 28 anni, una moglie e due figli e la vita mi ha strappato via la voglia di vivere.

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