Colonia dell'oltretomba posseduta da spettri, Mi riconosci, propriamente, non è un romanzo e non è un libro di memorie: sul piano biografico, tanto Bajani quanto Tabucchi appaiono sfocati, come visti di taglio, quasi che li spiassimo, con interesse o forse anche curiosità, ma senza indiscrezione. L'autore di questo delicatissimo album di ventitré lapidi - separate l'una dall'altra da severe pagine bianche, momenti di silenzio - schiude lo scrigno di un rapporto già non compromesso dalla gelosia. D'altra parte, in queste pagine dove a nessuno viene dato un nome, fuorché all'io narrante, appare evidente il senso di un'eredità che passa nelle mani del giovane e, nello stesso tempo, di un legame d'elezione, che finisce col coinvolgere anche la moglie, i figli, nonché l'incantevole nipotina del maestro.
Quindi mi hai detto che parlare ti costava troppo, e che adesso era venuto il momento che lo facessi io. L'hai detto come se non fosse soltanto una richiesta di soccorso, ma uno svezzamento. Era come se mi stessi consegnando le parole, come se mi stessi facendo scivolare attraverso il telefono, dall'altra parte dell'Europa, tutto il vocabolario, per poi dirmi una frase molto semplice Qui dentro c'è tutto quello che ti serve.
Allora avevamo pensato che forse si muore così, occupando sempre meno spazio, con i vecchi sempre più piccoli dentro le poltrone, fino a quando un giorno non li si trova più e si guarda in terra, come se potesse averli riassorbiti lei. E quando tua moglie ha messo giù il telefono mi è venuta in mente tua nipote, e i segni contro il muro che facevate per segnarle l'altezza che cresceva, una tacca sopra l'altra, e la data scritta accanto, e a come poi ci fossero le tue, di tacche, che scendevano, che le stavano andando incontro sulla sua stessa strada.