Mi trovo a cercarti, come sempre nei ...

Da Shappare
Mi trovo a cercarti, come sempre nei modi sbagliati, nei momenti sbagliati (non si cercano le persone solo nelle ricorrenze) e come sempre quando ho bisogno di qualcosa. Se lo leggessi odieresti questo spazio, odieresti quel che scrivo e come sono diventata o, piuttosto, rimasta.
Siccome sono la solita testarda ideologa, non sono pronta a riconoscerti tutte le ragioni, a concederti ciò per cui ti sei lasciato consumare, dando una grossa mano all’inevitabile. Alla vigilia di qualche altra piccola sconfitta, mi accorgo che il senso della rinuncia l’ho preso da te. Hai trionfato finché avevi accanto qualcuno che ti sosteneva, ti lucidava e rimandava le tue autodistruzioni e poi ti sei ritirato in buon ordine, chiedendo solo di essere disturbato il meno possibile; io ho desiderato per troppo di aver preso da te solo la forma delle dita. E invece ho venticinque anni, due amiche (una?) che non chiamo mai e una marea di scatoloni. Ti ho detestato ogni singolo cartone che mi hai fatto riempire e svuotare eppure continuo a farlo, che ironia.
Non riesco a finire gli esami; oh sì, anche in questo ci avevi visto giusto, una laurea “utile”, non mia, l’avrei di certo già finita, nonostante i tuoi ricatti, i tuoi silenzi punitivi e scontrosi e i lunghi, infiniti periodi in stanze acri di disinfettante. Certo che finirò, con i tempi che tu conosci e ti penserò, come spesso succede, perché è così che si deve fare, sic decet et oportet.
Ho smesso di provare a essere versipellis per piacere a un uomo con i baffi pieni di fumo e l’unghia del mignolo più lunga, non cerco più tuoi surrogati discutibili.
La mattina dei morti mi sveglio alle sei, dopo un’altra notte a rivoluzionare le coperte, e la tristezza di circostanza mi deriva più dal grigio dei tetti bresciani che dalle privazioni.
Forse il lavaggio del cervello stoico di Seneca a Lucilio sta dando i suoi frutti anche su di me. Però mi lavo i denti cercando di ricordare il tuo numero di cellulare (tu non mi chiamavi mai ma pretendevi – quando non c’ero- almeno tre telefonate) e non ci riesco. Non riesco nemmeno a tradurre, ma anche in questo caso i motivi sono al di là di te; la nebbia è la stessa, umida, di novembre e mi accompagna verso casa, mentre scrivo all’uomo che amo e di cui non vorresti sentire parlare. Durante il giorno ho pianto solo un attimo, e per la mamma: riusciresti a dire che anche in questi momenti, per me, vieni dopo di lei.
Però il fresco mi risveglia per un attimo
338835….
A casa ho fatto dieci scatoloni e inizio a temere non me ne basteranno altri venti, ti ho messo vicino una piccola pianta grassa, fiera e piena di spine; in negozio hanno portato tre splendide rose screziate di magenta, ma quel che punge e cerca d’essere sussistenza orgogliosa è ciò che di te offro – piccola – al mondo quando esco, oltre a un insieme di consonanti che mal si accordano tra loro.
E’ mezzanotte e continuo a non essere la ragazza dolce che hai cresciuto, però sono piena di debiti e prima o poi dovrò cancellarne qualcuno per proseguire, anche a costo di fare la melensa bambina viziata che rifiuto. Riaccendo il cellulare.
“Mi manchi. Ti voglio bene”
3388358276.
 

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