Mia figlia e la conquista dello spazio

Creato il 28 ottobre 2012 da Dragor

 

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   Cari amici, sono al lago Rweru ma vorrei parlare ancora di mia figlia. Scusatemi, ma più passa il tempo, più divento sentimentale. E angosciato, anche. Una volta scritte, queste memorie non rischieranno di perdersi se mi venisse l’Alzheimer o mi capitasse una disgrazia. Quando era molto piccola ovviamente non si muoveva. Se ne stava buona nella culla oppure appesa alla schiena di sua madre. Avevamo anche un marsupio, ma in casa mia moglie preferiva tenerla sulla schiena. Quel contatto con la madre era miracoloso. Durante tutta la sua infanzia non l’ho praticamente mai sentita piangere.

   Ricordo la prima tappa della sua conquista del mondo. Quando è diventata più grande le abbiamo comprato un letto-recinto nel quale passava gran parte del suo tempo appoggiata alla sponda. Un giorno l’ho vista arrivare in anticamera strisciando a 4 gambe. « Che cosa fai li’?» le ho chiesto incredulo. Forse, ho pensato con angoscia, si era arrampicata sulla sponda ed era caduta dall’altra parte rischiando di rompersi la testa. Lei mi ha fissato un attimo con gli occhi sbarrati, poi ha fatto un’inversione a U ed è tornata a tutta velocità verso il recinto. Là ho visto che aveva praticato un buco nella rete di protezione per evadere in perfetto stile Rocambole. E’ rientrata nella prigione attraverso lo stesso buco, si è raddrizzata e si è appoggiata alla sponda, sorridendo come se niente fosse. E’ stata la prima esplorazione della casa.

   Ha frequentato la scuola materna Auber, poi la scuola elementare nello stesso complesso scolastico. Naturalmente io o sua madre l’accompagnavamo fino alla porta. Ma mi accorgevo che, girato l’angolo della rue Clémenceau con la rue Auber, dove si trovava la scuola, sembrava a disagio. Un giorno mi ha supplicato « lasciami andare », poi ha svincolato la mano ed è partita come un razzo verso la scuola. Erano non più di 50 metri sul marciapiede. Molti bambini facevano gli ultimi 50 metri di corsa da soli e lei non voleva essere da meno. Davanti alla scuola c’erano i gendarmi perché a quell’epoca gli islamici mettevano le bombe davanti alle scuole ed era in vigore il piano Vigipirate. L’hanno vista passare come una freccia, uno di loro mi ha sorriso e strizzato l’occhio. Da allora quei 50 metri di corsa sono diventati un’abitudine, la prima conquista dello spazio esterno.

   Un giorno, a Ginevra, siamo andati al Bois de la Batie. Era inverno e faceva un freddo tremendo. Avevamo un sacchetto di pane raffermo da dare agli animali. A un tratto dagli alberi è sbucato un maestoso cervo con le froge fumanti. Mi sono messo istintivamente davanti a mia figlia per proteggerla, ma lei si è staccata da me per andare incontro al cervo. Non osavo muovermi per paura d’innervosirlo. Mia figlia ha teso la mano con un pezzo di pane e il grande cervo si è avvicinato lentamente, quasi timido, ha preso delicatamente il pezzo di pane fra le labbra ed è indietreggiato. Quei pochi metri che ha percorso fra me e il cervo sono stati fra i più importanti della sua vita. Me lo ha detto lei molti anni dopo.

   Quando ha cominciato a frequentare il collège Vernier, è cominciata la battaglia per il tragitto casa-scuola. Purtroppo c’era un problema: mentre la scuola elementare era a 2 passi dalla nostra casa, Vernier si trovava a venti minuti a piedi. Ma lei voleva andare sola perché si vergognava a farsi accompagnare. Cosi’ mia moglie o io cercavamo di andarle incontro in boulevard Gambetta per aiutarla ad attraversare il pericoloso incrocio Gambetta-Thiers, ma lei scantonava con le amiche e non si faceva trovare. Finalmente le abbiamo permesso di fare l’andata-ritorno da sola. Cosi’ ha cominciato a conquistare la città.

   Quando aveva 15 anni, abbiamo affittato un appartamento ad Amsterdam nella zona dei canali. Lei è rimasta a Nizza per obblighi scolastici. Una sera telefona: “Vengo da voi, devo fare un esposto sui frontoni per la storia dell’arte.” « Ma… » Aveva già riattaccato. Ha ritelefonato dall’aeroporto : « Sono ad Amsterdam.» «Vengo a prenderti», ho detto. “Non occorre, ho l’indirizzo. Prendo un taxi.” E’ arrivata e mi è toccato pagarle il taxi. Il mattino dopo alle 7 mi ha trascinato fuori per fotografare i 7 tipi di frontoni delle case di Amsterdam. E’ stato fantastico, io ho imparato tutto sui frontoni e lei ha fatto il suo primo viaggio aereo da sola.   

   Adesso prende l’aereo come se fosse il tram e va dappertutto. Il suo spazio è il mondo. Ma stranamente, non è ancora venuta a farmi visita in Rwanda. Be’, c’è sempre una prima volta. Un giorno farà un altro buco per scappare dal recinto.

Dragor


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