Bloccato a Medan, sull’isola di Sumatra, in Indonesia. Con una spada di Damocle che continua a incombere sopra la sua testa: rischia cinque anni di carcere. Le autorità indonesiane lo accusano di una somma di reati che in quell’area del sud-est asiatico pesano come macigni. In particolare, oltre ad essere chiamato a rispondere dell’infrazione alle norme che regolano la presenza di stranieri nel Paese e dei danni provocati a un computer all’aeroporto di Medan, gli viene imputato di aver offeso la nazione dell’Indonesia e la religione musulmana.
È la storia di Piero Schipizza, triestino, 52 anni compiuti proprio ieri. Di professione geologo, si occupa da tempo di progetti di cooperazione internazionale attivati da organizzazioni non governative con finalità umanitarie. In Indonesia ci era arrivato proprio per questo motivo più di due anni fa, ormai. Ora si ritrova al centro di un autentico caso diplomatico internazionale, che ha già coinvolto la Farnesina, attivatasi velocemente con l’ambasciata italiana di Jakarta che a sua volta ha preso contatti con il Centro di detenzione dell’Immigrazione indonesiana a Medan. Lì, infatti, Schipizza è stato confinato per cinque mesi. In stato di arresto. E lì rischia di dover essere rinchiuso nuovamente.
IN GIUGNO Tutto ha inizio il 17 giugno scorso. Quando il geologo triestino si reca all’aeroporto di Medan. Le tappe di questa disavventura vengono riassunte dal racconto degli amici di Schipizza che da Trieste si sono attivati per tirare fuori dai guai il loro concittadino. Molto viene riepilogato anche nelle premesse di un’interrogazione presentata dal senatore Giulio Camber (di cui riferiamo a parte). Ma ritorniamo al 17 giugno. Schipizza vuole imbarcarsi su un aereo per uscire dal Paese, probabilmente diretto in Malesia, e rientrarvi di lì a poco, in modo da attivare un nuovo permesso di soggiorno della durata di tre mesi. Schipizza, infatti, concluse le proprie incombenze lavorative, si è stabilito nella città indonesiana dove ha messo su famiglia. Per questo non vuole lasciare definitivamente Medan. Ma qualcosa, in quella giornata di metà giugno, va storto.
LA LITE Schipizza litiga con un’addetta al check-in, la situazione di nervosismo sfocia in una manata al computer, che dall’� episodio esce pesantemente danneggiato. La situazione porta alla querela da parte della compagnia aerea Air Asia, che chiede il risarcimento dei danni al geologo triestino. Pochi giorni dopo, il 9 luglio, Schipizza viene fermato in città, a Medan, per un controllo. Le verifiche mettono in evidenza come i documenti non siano in regola. Il visto è scaduto. La polizia locale lo arresta sommando questa infrazione alla querela legata a quanto avvenuto all’aeroporto. Scatta cioè una sorta di carcerazione preventiva. Lo riportano gli amici di Schipizza, costantemente aggiornati dal diretto interessato, via mail, sull’evolversi della situazione.
LE DIPLOMAZIE Informati dell’arresto amici e familiari, parte da Trieste l’azione diplomatica per tentare di far uscire di prigione il congiunto lontano. Non è facile: la lontananza e la conseguente difficoltà di comunicazione pesano. Forse non lo aiuta nemmeno il fatto di essere un europeo, un bianco di religione cattolica, in un Paese dalle tradizioni così diverse. Attraverso gli esponenti locali del Pdl Sandra Savino e Piero Camber, amici di Schipizza, vengono interessati della questione parlamentari (il deputato Isidoro Gottardo e il senatore Giulio Camber) e il ministro degli Affari Esteri Franco Frattini. La Farnesina si mette in contatto con l’Ambasciata italiana a Jakarta, il cui personale si attiva a sua volta con il Centro di detenzione dell’immigrazione indonesiana a Medan, dove Schipizza è trattenuto. Nel contempo il governo organizza un canale di comunicazione con la famiglia del geologo triestino. A fare da tramite con l’autorità giudiziaria asiatica è, per il primo periodo della vicenda, un prete italiano trapiantato da anni sull’isola di Sumatra, don Salvatore. L’azione del religioso, tuttavia, si interrompe nel momento in cui lo stesso torna in Italia.