pubblicato sul Vivavoce n.93.
Lo scrittore tedesco Michael Ende è famoso soprattutto per La storia infinita, un romanzo fantastico che ha avuto una fortunata trasposizione cinematografica nel 1984. Il film ammiccava alle grandi produzioni americane, quelle di George Lucas e Steven Spielberg che Ende, in realtà, non amava particolarmente.
Michael Ende nella sulla villa
di Genzano
Ciò che invece molti non sanno è che questo magnifico romanzo ha avuto la sua gestazione qui in Italia, precisamente a Genzano di Roma dove lo scrittore ha vissuto per circa quindici anni, dal 1971 al 1985, insieme a sua moglie Ingeborg Hoffman.
Micheal Ende ha abitato in uno splendido casale di campagna chiamato Villa Liocorno, in una zona dal nome particolarmente evocativo: valle degli Spiriti Beati, immerso nel verde dei tremila metri quadrati di ulivi da cui era circondato. “Quello che basta a tenermi isolato dal resto del mondo”, disse in un'intervista. In quella villa, oltre a lui e la moglie, vivevano numerosi animali domestici tra cui tartarughe, che compaiono spesso nei suoi racconti, ma soprattutto cani e gatti trovatelli di cui lo scrittore amava circondarsi.
Il soggiorno di Michael Ende nei solitari e mediterranei panorami dei Castelli Romani non è stato una riproposizione moderna del Grand Tour quanto piuttosto una vera e propria fuga da un ambiente intellettuale oppressivo e politicizzato che non ammetteva la fantasia fine a se stessa e che riteneva, a torto, la letteratura per l'infanzia un sottoprodotto culturale.
Tutto era iniziato dal dibattito su quale fosse il “libro giusto” per bambini e ragazzi. Secondo la critica sessantottina i libri dovevano educare e soprattutto plasmare le coscienze critiche.
Sempre a Genzano
Ende aveva già scritto due libri allora: Le avventure di Jim Bottone, che vinse il prestigioso Deutscher Jungend-buchpreis e il suo seguito La terribile banda dei “tredici” pirati. Questi libri furono accusati di avere errori storici, di rappresentare una Cina imperiale che storicamente non era quella reale, di non essere educativi. La critica sessantottina quindi, convinta che la letteratura dovesse indurre cambiamenti politici e sociali, non esitò a chiamarli “escapistici”, come se la fantasia fine a se stessa fosse un demerito.
Ende invece non vuole convincere i propri lettori con la pedagogia, ma vuole stimolarli a trovare nella fantasia il canale giusto per conoscere se stessi e formare quel mondo interiore necessario per elevarsi e avere fiducia nelle proprie possibilità. È proprio ciò che accade al protagonista de La storia infinita ed è per questo aspetto che il libro assume i contorni del romanzo di formazione.
Soltanto attraverso il processo creativo l'uomo può affrancarsi da quella realtà materiale e soffocante che uniforma i comportamenti e i pensieri degli individui: è quel “Nulla” che metaforicamente avanza nel mondo di Fantàsia inghiottendo ogni cosa e impoverendolo indelebilmente.
<< Esteriormente abbiamo tutto, spiritualmente siamo dei poveri diavoli >>
A Genzano esisteva allora una vasta comunità di intellettuali tedeschi tra cui lo scrittore e saggista Gustav René Hocke, morto proprio in Italia nell'estate del 1985, che divenne vicino di casa di Michael Ende.
I suoi libri Il mondo come labirinto e Manierismo nella letteratura sono stati per Michael rivelatori di un'estetica che faceva del surreale non motivo di escapismo e che non derivava, citando sue parole: << [...] da un desiderio più o meno irrealistico di “stranezza” e di esotismo, ma che che fosse invece un atteggiamento di base, un “gesto originario” presente in tutta la cultura europea, in fondo in tutte le culture del mondo, complementare e dialettico, eppure equivalente all'altro “gesto” classicista. In questi libri avevo scoperto la tradizione storica nella quale collocarmi e questo non solo nel senso di una giustificazione estetica dei miei sforzi letterari, ma anche come concezione filosofica generale del mondo e della vita, e contemporaneamente parte fondamentale della mia identità. >>
Non è un caso che Michael Ende sentisse l'urgenza di sentirsi libero di scrivere. Suo padre Edgar infatti, un importante pittore surrealista, fu costretto dai nazisti a sospendere ogni attività creativa e ogni esposizione delle sue opere. Edgar Ende considerava il gesto artistico alla stregua di una magia, qualcosa che andava al di là dei normali criteri di comprensione. Questo approccio all'arte ebbe una notevole influenza sulle opere letterarie di Michael e si possono rintracciare briciole di surrealismo in molte parti di esse: dalle descrizioni dei luoghi che citano in maniera esplicita pittori come Salvador Dalì e Giorgio De Chirico, all'onirismo dei racconti contenuti ne Lo specchio nello specchio, un chiaro omaggio all'arte di sua padre e alla letteratura di Borges.
Anfiteatro Tuscolo. Il luogo che ha ispirato la location
di Momo
La vita semplice e la tranquillità della campagna genzanese permisero a Ende di dedicarsi a Momo, un vecchio progetto nato come soggetto televisivo e sviluppato poi come vero e proprio romanzo.
Momo è ambientato in una non specificata località italiana ai margini di una metropoli estraniante e caotica. Questo romanzo è un'amara allegoria della vita moderna, dove il tempo viene rubato da misteriosi Signori Grigi e dove soltanto l'ingenua semplicità di una bambina sembra in grado di poter rimettere le cose a posto.
Nel romanzo Momo, più che in ogni altra opera di Ende, si riconosce l'influenza del soggiorno e della cultura italiana. L'anfiteatro in cui vive la bambina è infatti ispirato all'anfiteatro Tuscolo di Monteporzio Catone e anche i nomi dei protagonisti sono italianissimi: Gigi, Beppo, Liliana e Nino. D'altronde Ende stesso disse che soltanto nella nostra terra poteva scrivere questa storia e che l'Italia era il paese in cui più di ogni altro si respirava arte e poesia, un paese dunque che non avrebbe mai lasciato. Il destino volle invece che sua moglie morisse prematuramente nel 1985 e a quel punto gli uliveti di Genzano, il paesaggio dell'agro romano, la pacifica compagnia dei trovatelli e le frotte di ragazzi che si recavano in pellegrinaggio a Villa Liocorno per incontrare il loro “guru”, l'autore de La storia infinita, divennero un peso insostenibile, carico di ricordi che Michael non poteva più sopportare. Ed è per questo motivo che decise di lasciare Villa Liocorno e tornare nel suo paese natale, la Germania, dove morì dieci anni dopo per lo stesso incurabile male.