Microresistenze

Da Anacronista
[Ho scritto questo post nell'ottobre 2014. Non l'ho mai pubblicato perché lo giudicavo troppo smieloso, tendenzialmente banale, forse paternalistico e certo oggettivamente insopportabile. Anche ora, a rileggerlo, provo un certo fastidio. Tuttavia, devo prendere atto che si tratta di uno dei post che più spesso mi tornano in mente quando parlo della vita con le persone. Vorrei dire loro: "però ecco, vedi, ci sono le microresistenze" e spiegare nel dettaglio che cosa intendo. Perciò ho capito che il post riguarda qualcosa che in generale ritengo molto importante nella vita. Per questo voglio essere indulgente sui suoi risvolti diabetici].

Poi torno alla consueta acidità, giuro. 
Eravamo intorno a un tavolo, e dopo esserci raccontate, in quattro, i rispettivi disastri, eravamo giunte alla conclusione che: "è tutto una merda". La più propositiva era L. Io, se posso fare una classifica, stavo al secondo posto. 
Ho già ampiamente sperimentato che "è tutto una merda" (che poi, in realtà, non è mica vero), ma allo stesso tempo non posso farmi bastare questa conclusione. La vita mi piace troppo, anche quando la detesto. In realtà non detesto la vita, detesto com'è organizzata da un punto di vista, come dire, politico-sociale. Mi piace vivere anche quanto tutto rema contro. Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di pensare delle banalità del tipo: in fondo, ho un gran culo, sono sana. E forse è quel che si intende con quella parola dal sapore teologico che è "speranza". Ho il disincanto, ma sono sempre disposta a incantarmi - dentro di me c'è sempre una porta aperta sull'incanto. Spero di non perdere mai questa disposizione; diciamo che lavoro ogni giorno per impedire che possa mai avvenire.
Non riesco a godere della compagnia di persone troppo disincantate, che hanno rinunciato a tutto, anche a innamorarsi ancora - anche se, magari, ne hanno tutti i motivi. E non riesco a godere della compagnia di persone ancora troppo illuse, disposte ad attaccarsi ancora a qualcosa che fallirà di nuovo. Le persone positive e le persone negative, in qualche modo mentono: hanno deciso che è tutto di un colore, ma io voglio le sfumature e mi aspetto sempre l'inaspettato. In questo ho probabilmente torto. Allora diciamo che decido deliberatamente di volere avere torto.

(La realtà non è mai solo bianca o solo nera. Spesso è giallina).


Abbiamo chiacchierato amabilmente e riso un po', ma quelle risate avevano un retrogusto amaro: tanto, è tutto una merda, era il pensiero retrostante, sottile e invisibile, che spadroneggiava in silenzio nell'intimo cantuccio di ciascuna.Sicché tutto l'entusiasmo con cui mi ero approcciata alla serata - volevo proporre l'ennesimo progetto, l'ennesimo dai-ce-la-faremo, l'ennesimo insensato tutto andrà meglio prima o poi - si è scontrato così con l'inevitabile oggettività della tristezza. Un tipo di tristezza particolare: è quando non hai più voglia di partecipare, di credere in nulla, di darti da fare per, perché lo hai già fatto tante, troppe volte e hai visto che non è servito a niente. Che non ti immaginavi di arrivare a questo punto dopo averci messo tantissima energia, tutta un'energia che non puoi raccontare e che adesso è come sparita, puf, non esiste più e sei spiazzata, e non sai dove sbattere la testa. Non è il mio caso: almeno, non ancora. Ripeto: spero di non arrivare mai a quel punto. Ma è forse questo che s'intende con crescere? E' allora vero che crescere è rassegnarsi?

Chi restituisce, che fine fa, tutta l'energia che ciascuno mette nelle proprie lotte? Quanto si spende per perseguire i propri desideri, per non tradirsi mai, per guadagnarsi il famoso "diritto alla felicità" di cui si parlava due secoli fa? Allora qualcuno aveva ancora da promettere qualcosa...

Senonché dopo lunghi discorsi sul futuro, sulla politica, sul burrocacao, L. mi parlava di una scena che aveva visto la mattina. Era in spiaggia e c'erano due genitori con bambino che giocavano a palla. Ok, ho pensato subito: seh vabè, mulino bianco. Invece lei mi ha detto no no, dovevi vedere, erano veri. Anche rozzi in certi atteggiamenti, si insultavano benevolmente, parlavano in dialetto, io li ho trovati fantastici. Non riesco a spiegarlo, mi ha detto L., ma per me è quello il punto.
Con questi passaggi sono giunta a chiarirmi un pensiero che ho sottotraccia da tempo, ma che non riuscivo per prima a formulare a me stessa, vuoi per la pregiudiziale mulino bianco, vuoi perché talvolta mi sembra che parlare di bellezza e felicità in un mondo che va a rotoli mi sembra faccia lo stesso gioco del potere. Ma c'è qualcosa di più profondo.Nel mezzo del dolore, della meschinità, delle delusioni, della povertà, del degrado, del disincanto, si costruiscono spazi di microresistenza. E' quello che, secondo me, voleva dire tra le altre cose Rosi con Sacro GRA. E' tutto una merda, continuerà a essere tutto una merda, ma possiamo costruire spazi di microresistenza. Piccoli, disincantati spazi di libertà. Angoli di non estorsione e di non finzione, quasi rubati al quotidiano, sottratti alla deformazione generale. Momenti di non colonizzazione del brutto e del merda. Esperienze sconnesse, imperfette, ma vive e reali di microverità. (Adesso possono partire i violini, grazie).
Parafrasando Adorno, sì: il tutto è falso. Ma nel tutto falso degli spazi di microresistenza, di microverità, sono possibili. Indispensabili. Diceva Fortini - e grazie a Matteo per avermelo ricordato - che "non si dà vita vera se non nella falsa". 

“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” [Italo Calvino, Le città invisibili].

La felicità non è un'entità ontologica che sbrilluccica di luce propria, dai contorni netti, gli stessi di un oggetto che possiamo vedere e toccare. La felicità credo che somigli di più a una di quelle sensazioni contraddittorie che ci attraversano senza presentarsi con una carta d'identità, con un nome e cognome, in modo che si possa riconoscerle distintamente. Come tutte le cose della vita, non è mai uniforme, univoca. La vita è sempre ambigua, sfuggente, e pure stronza. Così la felicità. La felicità è uno stato d'animo informe, pronto a tramutarsi in altro, è una zona di passaggio appena palpabile fra le continue metamorfosi di ciascuno. Non è altro, non è assolutamente nient'altro...Facciamocene una ragione.

E allora pensi a quelle cene in allegria che i tuoi vicini stranieri organizzano d'estate in piazza, ascoltando musica, ridendo e ballando, perché hanno capito che la merda che si vive ogni giorno non è un buon motivo per impedirsi di continuare comunque a ballare. Oppure pensi a quelle conversazioni tra anziane, che si fanno compagnia, perché è tutto un farsi compagnia. Quegli abbracci che arrivano così, gratis, un attimo prima del precipizio e che in fondo non fai che cercare sempre quello, un abbraccio, un senso di casa e di accoglienza. Pensi ai discorsi di A., che si entusiasma a parlarti di fideussioni e diritto tributario, e provi a resistere ad ascoltarlo senza sbuffare - e pensi, quanto è buffo quando piega la bocca il quel modo. Pensi a tuo figlio, a quando lo sorprendi con un dito nel naso e lui che si nasconde, senza troppa convinzione; oppure quando lo vedi e ti sembra già un ragazzone, te lo immagini adulto andare incontro al mondo pieno di vita. O a quelle domeniche mattina, quando il sole è forte e questo dev'essere per forza la risposta, perché è troppo bello e tutta l'energia del sole sembra che tu in qualche modo debba ripeterla. Pensi agli scherzi di quell'impiegato delle poste, che si vede benissimo che non ne può più di stare allo sportello e allora delizia le persone col suo umorismo scanzonato, e chi parla con lui può distrarsi un attimo dalla merda, alleggerirsi l'umore, togliere un po' di nero al quadro fosco che ha davanti. Pensi a quando, insieme alle tue sorelle, prendi in giro tua madre per le sue bizzarre manie, e lei cerca di difendersi trattenendo una risata. Pensi a quando trovi la poesia giusta, la riga giusta, il momento giusto. Pensi a quei momenti di buon umore immotivato, quando il sacro fuoco del cazzeggio ti coglie e ti friccica tutta una voglia di andare avanti comunque, anche dopo l'ennesimo calcio nel sedere. Perché continua a esistere la musica, la tua musica preferita, che magari cerchi di ripetere con la chitarra, male ma che importa. E poi c'è il mare, capito? C'è il mare. Rendiamocene conto... Può essere fare l'amore senza pensare a niente. Il gioco in tutte le sue forme. Ridere insieme dopo la tensione, allentare i nervi trovando un contatto. Può essere perdere tempo a guardare un bellissimo paesaggio mentre sei in ritardo, una cosa solo tua. Può essere un bicchiere di vino in compagnia di persone semplici e libere, una sera di primavera, senza l'ansia del lunedì, lontano dalle performance. Ma può essere anche quando ti arrendi, quando decidi che non hai tanta voglia di lottare. E fai spazio alle pause, senza l'ansia di ricominciare, spegnendo un attimo l'interruttore senza chiederti quando lo riaprirai. Accetti che non ti va tanto di parlare, non ti va di stare a dire, di avere un'opinione, di piacere. Non ti va, e lasci che questo silenzio informe ti scivoli addosso, paradossalmente ritemprante...

Non posso continuare: di certe cose non si può fare un elenco.
Spazi di autenticità, di emozione e condivisione, quotidiani, dove si è se stessi e nulla è perfetto, ma stringiamo tra le mani un momento di non alienazione, di non finzione, di non strategia e calcolo e opportunità e. La cosa più straordinaria, in questo, è che sono spazi potenzialmente intoccabili, potenzialmente inaccessibili al brutto e al merda.C'è, forse, del pessimismo dietro questo discorso, non lo nascondo. Provo sempre un certo fastidio nel sentire l'aforistica edificante sulla felicità delle piccole cose. Ha qualcosa di bugiardo e paternalistico, e non vorrei mai prestarmi a questo approccio parrocchiale generalmente assolutorio. Inutile magnificare "le piccole cose": è il miglior modo per consentire a chi detiene il potere di continuare a usarlo per interessi particolari, usando anche questo come distrazione di massa. Come fai a parlare della "gioia per le piccole cose" a una persona che lavora 12 ore al giorno in condizioni di sfruttamento, o che ha lavorato per una vita e adesso non ha niente in mano? Solo per dirne una. 
Beh: quella persona dovrà lottare, con tante, infinite micro-lotte quotidiane. Potrà legarsi agli altri per una macro-lotta. Ma lei resterà sempre micro, il suo potere sarà sempre micro: checché ne dicano gli aforismi dei grandi presidenti della storia. Il singolo è politicamente zero. Le sue micro-lotte sono necessarie, com'è necessaria la micro-resistenza affettiva. Che hanno, secondo me, fuor di estetizzazioni banali, una natura politica difficile da spiegare. Liberarsi dalla morsa del brutto e del merda è possibile, almeno, e sottolineo almeno, grazie a  queste esperienze di micro-libertà che costellano in modo puntiforme ciascuna vita. Passano veloci, quasi non te ne accorgi. Ma arriva il momento che capisci che contano solo quelli...
A quante persone è stata tolta questa possibilità della microresistenza? Questo è il più crudele dei delitti che si possano compiere. L'inferno è qui, tra noi, ma tutti abbiamo diritto, almeno, a piccoli spazi di microresistenza. Con le amiche abbiamo deciso perciò di lasciar perdere i progetti yeah domani cambiamo il mondo, e di darci a un deliberato egoismo estetico, per guardare a intervalli regolari dei film insieme con un po' di vino rosso di quelli buonissimi. Le ringrazio, anche solo per questo...