Paolo Maini e Massimo Rosi sono due dei fondatori della giovane casa editrice BookMaker Comics (il terzo è Matteo Gerber), molto attiva sul panorama internazionale, con produzioni sia in formato sia cartaceo sia digitale. Quest’anno esordiscono a Lucca Comics per la prima volta e, tra le novità che presentano, c’è Midnight eyes ave. Vol. 1, primo tomo di una trilogia giapponese, definita dagli autori stessi, un po’ cripticamente, “non manga”.
Paolo e Massimo sono gli sceneggiatori di questo fumetto, mentre della parte grafica si occupa La Tram, al secolo Margherita Tramutoli, grafica e illustratrice, al suo primo lavoro su di un fumetto “lungo”.
Massimo Rosi: Mi ricordo che il primo input di MEA mi venne in mente a Lugano per una proposta di un antologico sul Giappone e sulla demitizzazione del manga come genere di “moda”. Fondamentalmente MEA è nato da una scena ben chiara in mente, dall’idea esposta nelle prime tre pagine del fumetto che andrete a leggere.
Partendo da lì poi, con Paolo abbiamo sviluppato tutta un’altra cosa, ben distante da un antologico e per le linee generali abbiamo lavorato a quattro mani in tutto e per tutto.
Poiché abbiamo già lavorato assieme come sceneggiatori, ci suddividiamo solitamente i capitoli o gli episodi in pari e dispari: di solito io faccio i dispari (forse siamo scaramantici… o romantici).
Paolo Maini: Come spesso accade nella maggior parte dei lavori condivisi con Massimo, il concept di MEA è nato da un singolo input che ha subito innestato nella nostra fantasia un’idea che volevamo sviluppare a tutti i costi. In seguito, si è sviluppata una sequenza d’immagini “provocanti” che attendono al varco i lettori nelle tavole d’introduzione al primo capitolo. Posso dire, senz’ombra di dubbio, che quella sequenza tuttora custodisce, non sono l’embrione di MEA, ma anche l’intento di sperimentare e reinterpretare un territorio “tabù” come quello del manga.
Dopo aver accettato la sfida, è subito subentrata la sinergia. Quando ho il piacere di lavorare con Massimo le storie si animano di vita propria. Un dettaglio non trascurabile e che a volte ci spaventa anche un po’, ma questa è un’altra storia.
Storyboard di una pagina del fumetto
Avete definito MEA un non-manga, una sorta di fumetto pulp che evitando di imitare in modo pedissequo, lo stile giapponese ne avesse comunque determinati agganci. Da cosa nasce questa voglia di demitizzare il manga?
PM: Ho già affrontato con Massimo il tema della “demitizzazione” (per esempio in Land of the Brave) e nel caso specifico non vorrei essere frainteso: intendo demitizzazione non come “atto distruttivo”, bensì creativo.
Il nostro pensiero va di pari passo con la filosofia che si è prefissata la BookMaker, ovvero dimostrare la poliedricità degli autori italiani, che sono assolutamente in grado di gestire qualsiasi tipologia di stile all’insegna di un rinnovato modo di concepire il made in Italy. Pertanto non parlerei tanto di demitizzazione, quanto di rielaborazione. Il manga è una componente culturale molto forte nello scenario fumettistico italiano, governato da regole ferree (prendiamo ad esempio il verso della lettura). In pochi scelgono di affrontarlo da un punto di vista prettamente occidentale. Noi l’abbiamo fatto.
MR: Dal mio punto di vista la cosa nasce dalla voglia di voler dare aspetti diversi ad argomenti di uso comune nel settore del fumetto e allo stesso tempo di cercare di riempire dei vuoti che alcune volte un genere lascia. Una sorta di visione laterale, che onestamente devo a Onofrio Catacchio e al suo percorso di formazione.
Studio di un personaggio
MEA sarà composto da tre volumi composti da due capitoli ciascuno. Quale sarà la frequenza d’uscita? I prossimi albi sono già in lavorazione o la storia è ancora in fase di sviluppo?
MR: I capitoli sono già in lavorazione e più o meno usciranno ogni quattro/cinque mesi circa. La Tram lavora molto bene e velocemente e noi con la sceneggiatura siamo molto avanti.
PM: Contiamo di fare uscire i restanti albi nel minor tempo possibile. È nostro interesse mantenere alta l’attenzione del lettore, soprattutto in virtù dell’evolversi delle “brutte situazioni” che si stanno lentamente organizzando, per circondare in una morsa serrata i nostri sfortunati protagonisti. Dal canto nostro, possiamo dire che MEA è concettualmente concluso.
In questo primo volume, oltre allo sviluppo generale della storia in stile pulp-thriller-action, c’è, in entrambi i capitoli, un approfondimento marcato sul background familiare e sociale di due personaggi della band di moto teppisti, Shintaro e Juichi. È uno degli aspetti più interessanti del volume: anche nei prossimi capitoli proseguirà questa sorta di binario parallelo alla trama principale, con il coinvolgimento degli altri componenti della banda?
PM: In una storia che coinvolge più personaggi, è pressoché inevitabile riconoscere un protagonista, sezionandolo dal resto del gruppo. È una questione di affettività strettamente vincolata alla sensibilità del lettore. In MEA, anche se sono le azioni di Shintaro a determinare l’innesco narrativo, non esiste un singolo protagonista, ma un gruppo. Per questo motivo abbiamo scelto di dar spazio, in tutti i capitoli della storia, al punto di vista di ogni singolo componente della gang, in modo da analizzare non solo il loro privato, ma anche le tre giornate di follia che animano la storia, viste da più prospettive.
È un modo come un altro per non perdere di vista l’insieme della storia, analizzandola nella sua totalità, dove anche il momento apparentemente più insignificante può diventare il più importante.
MR: La storia in sostanza ha tanti protagonisti e sono i ragazzi della banda di moto teppisti. Tutti loro comunque sono dei “casi umani”, personaggi un po’ borderline delle periferie di Tokyo. Sicuramente la storia prosegue lungo la sua linea temporale, ma viene raccontata dal punto di vista di ognuno dei ragazzi della banda.
Studio di un personaggio
Margherita, a che punto dello sviluppo del progetto sei entrata in gioco e qual è stato, se c’è stato, il tuo apporto in fase di definizione di quello che poi sarebbe diventato MEA?
La Tram: Mi è stata proposta la storia a soggetto già definito, e gli stessi personaggi erano stati già ben delineati, ciascuno con le sue geniali aberrazioni, in fase di scrittura. Il mio apporto è stato quindi relativo a trovar loro un volto e un atteggiamento che le incarnasse al meglio.
Tu vieni da un’esperienza professionale precedente come grafica e illustratrice e questo è il tuo primo lavoro “esteso” in campo del fumetto. Hai trovato difficoltà e quali? Hai dei riferimenti e delle ispirazioni nel campo dell’arte sequenziale?
LT: Gestirsi in un lavoro così esteso nei mesi ha richiesto un’autodisciplina diversa rispetto ai lavori di grafica e d’illustrazione, e questa è stata la difficoltà principale, ovviamente.
Quanto ai riferimenti, quelli fissi sono Mike Mignola, Claire Wendling, Eric Canete, Cyril Pedrosa, Bengal, Adam Pollina, Olivier Vatine, Alberto Pagliaro e Alberto Ponticelli. Per MEA in particolare ho guardato molto a Kristian Donaldson e Gabriel Bà e al loro stile molto grafico e graffiato.
Hai curato anche la colorazione dell’albo. Ciò che colpisce immediatamente l’occhio in MEA è l’uso di una tavolozza virata su cromie acide nelle tonalità di verdi, gialli e rossi. Altra cosa subito evidente è il voluto uso “monocromo” degli sfondi che avvolge in unico coloro scenari e personaggi che li popolano, mettendo per contrasto in risalto il protagonista/i della vignetta. Ci spieghi da cosa sono derivate queste due scelte?
LT: Per rispondere cito Supermarket (N.d.R. – fumetto del 2006, scritto da Brian Wood e disegnato da Kristian Donaldson, uscito in USA per la IDW e proposto in Italia da Edizioni BD, collana Supersonic): insieme a Rosi e Maini l’abbiamo trovato un riferimento naturale, ma c’è dell’altro. La storia è pervasa di morbosità, di percezioni distorte della realtà da parte dei personaggi in una sorta di incubo allucinato, e far galleggiare gli attori secondari e gli scenari stessi in un diffuso magma psichedelico mi sembrava assecondasse bene il tono del racconto.
Entrambi i capitoli di questo volume iniziale di MEA partono con sequenze in bianco nero. Nella prima parte è la riproposizione in stile manga di due pagine di un fumetto che sta leggendo Shintaro, nella seconda è una sequenza con protagonista Juichi che col progredire delle vignette “acquista” colore. Sono legati questi due incipit? Volevi sottintendere qualcosa con questa similitudine “a-cromatica”?
LT: E’ stata una scelta degli scrittori, in realtà. Le sequenze iniziali dei due capitoli erano già descritte così, in bianco e nero, in sceneggiatura.
Ringraziamo gli autori per il loro tempo.
Intervista condotta via mail e conclusa il 16/10/2013
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