Migliorare la società civile aiuta la politica

Creato il 11 gennaio 2013 da Gadilu

 

La politica non è la causa di ogni male e la società civile non è la causa di ogni bene. Piccolo gioco per scoprire l’espressione o la parola più abusata in questa campagna elettorale. Ogni dichiarazione breve è qualificata come un “cinguettio” (e guai a chi non semina su “Twitter” le proprie considerazioni sul mondo); al posto dei programmi sono spuntate come funghi le “agende”; una posizione appena un po’ più decisa, o comunque non perfettamente equidistante da ciò che un tempo chiamavamo “destra” o “sinistra”, è rubricata subito alla voce “estremismo”. Il vero fenomeno debordante è costituito inoltre dalla continua evocazione del ruolo quasi taumaturgico attribuito alla “società civile”. Formula tanto evocata quanto probabilmente poco compresa in tutte le sue implicazioni.

Ho fatto così una piccola ricerca. Alla voce “società civile” dell’enciclopedia Treccani on-line, Giuseppe Bedeschi scrive che per il pensiero giusnaturalistico del Seicento “società civile” era soltanto un sinonimo di “società politica”. Cioè esattamente l’opposto di quanto oggi siamo soliti pensare. Fu poi grazie alla riflessione di Jean Jacques Rousseau che cominciò a prendere forma quella disgiunzione terminologica alla quale ci siamo abituati. Ma cosa intendeva Rousseau per “società civile”?

Nel “Discorso sull’origine e fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini” (1755) la “società civile” è il campo in cui si manifesta l’“ambizione divorante”, la “smania di innalzare la propria posizione” e l’“oscura tendenza a nuocersi reciprocamente”. La politica allora serve a garantire e sanzionare – mediante l’inganno operato dai più forti – le ineguaglianze e le disparità già create dalla “società civile”. Per il filosofo ginevrino sarebbe dunque stato impensabile proporre di curare i mali della politica mediante un ricorso proprio a quella “società civile” che di quei mali rappresenta la causa.

Certo, magari l’analisi di Rousseau risulta nel complesso datata. Ancora apprezzabile sembra però la sua capacità di distinguere, non opponendole, “società civile” e “società politica”. Senza al riguardo cadere in un’ardua ipostatizzazione e separazione tra “buoni” e “cattivi”, egli insiste piuttosto su alcuni elementi di continuità difficilmente negabili. Più ingenui di lui, noi tendiamo ad attribuire proprio alla “società civile” i tratti idilliaci che Rousseau riservava allo “stato di natura”, e spostiamo tutto il peso delle critiche, per non dire il disprezzo, sulla politica. In questo modo ci sfugge l’essenziale: soltanto se fossimo in grado di migliorare il nostro vivere civile, continuando cioè ad operare nel contesto delle nostre inclinazioni e professioni, saremmo sicuramente poi anche capaci di animare una politica migliore.

Corriere dell’Alto Adige, 11 gennaio 2013